Ha un’estetica straordinariamente forte l’ultimo Devil May Cry, il primo ad arrivare su personal computer. La serie nasce infatti su PlayStation 2, dove tra alti e bassi guida il genere tutta azione da ormai un lustro, God of War permettendo. I bassi sono il trascurabile e nel complesso deludente secondo episodio. Gli alti sono l’originale e soprattutto il numero tre, in modo particolare questa Devil May Cry 3: Special Edition. Che, fatto curioso, almeno nel Vecchio continente si concede, per ora (in autunno le cose dovrebbero cambiare), solo ai Windows dipendenti. Insomma, una primizia in esclusiva temporale per chi mastica mouse e tastiere. Anche se, per godere della sofisticheria del gioco, è raccomandato abbandonare le classiche periferiche di controllo del Pc e votarsi, per la conduzione di Dante, a un più pratico pad a immagine e somiglianza del dualshock di PlayStation 2. Dante è il protagonista del videogame, mezzo demone e mezzo uomo che combatte le più terribili creature di un universo nippo goticheggiante pseudo contemporaneo. Con e contro di lui in questa avventura, sorta di prologo alle sue imprese, c’è il fratello Vergil, secondo personaggio giocabile e portata principale della special edition. Dante e Virgilio... Non manca neppure l’Inferno, naturalmente sulla Terra, per poi indagarne antri e gironi fin nel profondo, affrontando mostri sempre più grossi. In un’odissea dai foschi risvolti familiari, che presenta la gioventù scapestrata del vanitoso eroe albino più in forma che mai. Bello e maledetto, battuta pronta, stile assolutamente rock, movenze meglio di Tony Manero e tanto fascino da adombrare Brad Pitt. Le ragazze farebbero a gara per conquistarsi quello che, probabilmente, è lo sbruffoncello più irresistibile dei videogiochi.
Per rafforzare il mito di Dante, mamma Capcom non ha badato a spese. Ha bombardato Devil May Cry 3 di eccessi visivi psichedelici, lo ha riempito di sequenze filmate (potete tirare un respiro di sollievo perché non sono a scapito di quelle interattive) e a dirigerle ha chiamato uno dei più estrosi coreografi di scene di azione sulla piazza. Risultato: i combattimenti del videogame hanno la fantasia formale delle pellicole più elettrizzanti del nuovo cinema pirotecnico orientale. La firma in calce è di Yuji Shimomura, in precedenza all’opera nel film Versus di Ryuhei Kitamura, che su console ha invece collaborato a Metal Gear Solid: The Twin Snakes. A nuova testimonianza che oggi sono molteplici le contaminazioni reciproche di linguaggio tra cinema e digital entertainment. Soprattutto in produzioni come Devil May Cry, dove l’aspetto ha un valore essenziale ed è, per il genere, elemento determinante della sostanza. Oltre la potenza evocativa delle immagini in movimento, che nel gusto di Shimomura sposano spesso iperboli bizzarre, è il videogioco nella sua interezza a toccare le corde dello spettacolo.
Il concetto segue la corrente che, al di là dell’Atlantico, è definita stylish gaming, ossia la lotta digitale come massima espressione di uno spettacolo appariscente. Ciò si traduce quasi letteralmente in una danza di mosse paradossali, che all’istinto di sopravvivenza sostituiscono il piacere dell’esibizione, tra spadoni che turbinano nell’aria a scaraventare da ogni parte il nemico mentre, non paghi, sedotti dalla furia lo si farcisce di piombo, quello di Ebony e Ivory, una coppia di pistole automatiche vintage, magari proprio in omaggio a Paul McCartney. Il cuore del complesso sistema di combattimento su cui si fonda la giocabilità di Devil May Cry 3 (l’avventura è lineare, suddivisa in missioni modello una tacca tira l’altra; l’esplorazione irrilevante al pari degli enigmi basati in larga parte sul tormentone delle chiavi) risiede nella concatenazione scenografica dei diversi colpi, che possono fondersi con diverse armi – dalle lame ai bazooka, dai guantoni a una chitarra Flying V- e scuole di lotta – evasiva, scherma, tiratori, ecc. Uccidere i nemici con stile, piuttosto che ucciderli e basta, assicura valutazioni che dispensano bonus molto utili quando le cose si fanno dure. Devil May Cry 3 è un videogame impegnativo, ma il titolo Capcom dà sempre al giocatore tutti i mezzi per non essere sopraffatto dall’alto tasso di sfida, che gli extra di questa director’s cut elevano ulteriormente (insieme alla sezione di Vergil, con filmati e boss inediti, c’è una raccolta di missioni disumane pensate apposta per i più impavidi).
La conversione da PlayStation 2 a personal computer è sobria. Il gioco distribuito da Ubisoft è la special edition da console traslata direttamente da un sistema all’altro, con la possibilità di giostrarsi un po’ fra le opzioni grafiche, vale a dire antialiasing e alta risoluzione, che comunque non nascondono più di tanto le origini del gioco. Il che è un male solo per chi si aspetti la fiera degli effetti speciali promessi dall’Unreal Engine 3 e abbia un palato così raffinato da non digerire qua e là qualcosa di grossolano. Gli altri avranno di che gioire col miglior esponente dell’action game di scuola nipponica disponibile per Pc. Uno dei simboli dell’intrattenimento da console in overdose di stile techno giapponese, grazie anche a un personaggio stracult nel suo essere perennemente sopra le righe. Per alcuni, forse, pure troppo.
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