Parlare di postumanismo dà ancora la sensazione, a molti dei miei interlocutori, di un argomento bizzarro, di qualcosa in bilico tra commedia dell'assurdo e delirio politico – o, peggio ancora, razziale. Per mio conto posso affermare che sono molto, ma molto lontano da entrambi i punti estremi illustrati qui sopra, e che anzi reputo la necessità e ovvietà del postumanismo come un passo assolutamente imprescindibile dal prossimo futuro umano; c'è bisogno dell'evoluzione – come più volte scritto su queste pagine – e di qualcosa che ci tiri fuori dalle sabbie mobili del Medioevo, ancora presente attorno e dentro noi.
Due notizie, apparse nel giro di pochi giorni su Repubblica.it, hanno solleticato la mia voglia di riprendere l'argomento. La prima è relativa agli abitanti di un piccolo paese della Valsugana, Stoccareddo; in questo piccolo luogo montano e isolato abitano circa 400 ciattidini che – è qui la particolarità – hanno quasi tutti lo stesso cognome, in altre parole discendono da un unico capostipite danese vissuto nel XII secolo. Il cognome che lega tutte queste persone è Baù; tutti i Baù hanno una salute di ferro, pur sfruttando abbondantemente il proprio organismo perché lo mettono alla prova mangiando abbondantemente cose caloriche e grasse di tutti i tipi, pur senza sviluppare nessuna malattia specifica. In altre parole, i Baù hanno nel sangue valori glicemici e trigliceridi assai elevati, eppure non sviluppano ipertensione e diabete: perché?
Da alcuni studi che si stanno effettuando sembrerebbe che queste persone - che si sposano tra loro da tempi immemori – abbiano sviluppato un gene in grado di proteggerli dai danni dell'alimentazione; il DNA dei Baù appare ereditato direttamente da quello del capostipite, che era probabilmente dotato di un robusto codice genetico e che, tuttora, a causa delle unioni tra consanguinei, preserva i suoi discendenti.
E' forse questo un caso di postumanismo implicito? Una sorta di selezione naturale che implica l'uomo nuovo naturale anziché creato in laboratorio?
La seconda notizia di Repubblica.it mi fa riflettere ulteriormente. L'articolo ha il seguente incipit: “Si dice che il corpo umano sia la macchina più perfetta mai inventata: il frutto di milioni di anni di evoluzione, che lo hanno adattato in modo ottimale alle condizioni di vita sulla Terra. Ma anche le macchine perfette, col tempo, rivelano lacune e difetti che con l'aiuto di nuove tecnologie è possibile migliorare: basta pensare a una Rolls-Royce o a una Ferrari.”
Cosa significa? Significa che sono state individuate pericolose falle nella struttura dell'organismo umano, tali da dover essere modificate con interventi radicali; alcuni esempi:
- Rettifica del bacino al giusto angolo retto e rafforzamento delle giunture delle ginocchia che sopportano tutto il peso corporeo
- Scomparsa delle tonsille, che non assolvono più a nessuna funzione
- Riempimento delle cavità nasali, ricettacolo di pericolose infezioni
- Ridimensionamento della punta delle dita, in modo da permettere una digitazione migliore su tastiera
- Allocazione di un cuore e di un fegato di riserva, così da permettere un'alimentazione più grassa e gustosa
- Eliminazione dell'appendicite, a causa della inutile funzionalità, analoga a quella delle tonsille
- Risistemazione dei genitali maschili, troppo vicini all'ano e troppo esposti a urti e corpi contundenti vari (probabile nuova allocazione: sotto le ascelle, oppure estraibili)
- Preparazione di gambe smontabili e canali respiratori e digestivi separati
- Mani con sei dita
- Occhi in grado di vedere meglio
- Capelli in grado di non cadere più
- Istinto all'accoppiamento ridotto a una volta all'anno, in modo da canalizzare le energie in altre attività più razionali e produttive.
Al di là di alcune osservazioni risibili (e infatti l'articolo di Repubblica.it sottolinea il tono semiserio di tutta la trattazione) è interessante notare come sia il lato “naturale”, sia quello “tecnologico”, tendono a portare l'umanità verso una decisa evoluzione; se queste due “discipline” dovessero incontrarsi – artificialmente o naturalmente, a loro volta – esse darebbero vita al postumanismo, e noi ci troveremmo a parlare di un argomento assolutamente normale e, anzi, ne discuteremmo con una banalità tipica del quotidiano, particolarmente sempliciotta.
Il postumanismo è un bisogno.
Non volerlo o rifiutarlo potrebbe significare la permanenza ai tempi della pietra.
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