Bisogna andare indietro fino al 25 luglio del 1982. Non tanto per parlare di X-Men, quanto piuttosto di videogame su licenza. In quella data Atari firmò l’accordo multimilionario con il regista Steven Spielberg per la realizzazione del videogame di E.T., che sarebbe dovuto uscire categoricamente pochi mesi dopo, nel periodo natalizio. Lo sviluppo venne affidato a Howard Scott Warshaw, che aveva già lavorato con il regista a un altro titolo su licenza cinematografica: Raiders of the Lost Ark (I predatori dell’Arca perduta). Ma era soprattutto autore di Yar’s Revenge, il videogame Atari all’epoca più venduto. In cinque settimane di duro lavoro, l’unica cosa che Warshaw seppe realmente fare fu stavolta mettere in ginocchio l’intera industria. La storia del più grande flop dei videogiochi si trova dettagliata all'indirizzo: www.onceuponatari.com.
Le scadenze impellenti che Warshaw dovette affrontare non permisero di creare un titolo curato in tutti gli aspetti, spesso frustrante, originale nelle idee, ma tremendamente limitato all’atto pratico. Secondo la leggenda, E.T. divenne così il peggior videogioco di sempre e, a dar retta alle voci più sensazionaliste, la stragrande maggioranza dei cinque milioni di costose cartucce prodotte da Atari sono ancora oggi sepolte decine di metri sotto terra, in una non meglio precisata località del deserto del New Mexico.
La morale della favola dice che il problema dei videogiochi su licenza è vecchio quanto i videogiochi su licenza stessi e che, quando ci sono di mezzo le licenze cinematografiche, la faccenda si fa addirittura più complicata. Impegnati in una corsa contro il tempo per cavalcare l’onda del film e con larga parte del budget stanziato per assicurarsi l’esclusiva, sono più i buchi nell’acqua degli esperimenti da ricordare. Anche per i supereroi, a dispetto dei loro incredibili poteri. Chi se la passa meglio in casa Marvel è l’Uomo Ragno, che negli ultimi episodi delle sue avventure digitali ha saputo cogliere le potenzialità di una lettura libera, acrobatica e metropolitana del tipico penzolare a caccia di delinquenti tra i grattacieli di Manhattan. Dopo il tie-in di Spider-Man 2, sono arrivate le collaborazioni importanti tra Activision - l’editore dei principali titoli Marvel - e gli autori del fumetto, cosicché il successivo Ultimate Spider-Man del 2005, commissionato di nuovo a Treyarch, porta le firme di Michael Bendis e Mark Bagley, sceneggiatore e disegnatore culto del comic. Ed è da qui che ripartono quest’anno gli X-Men, dal coinvolgimento nel progetto di personaggi che hanno contribuito a fare grande la saga sulla cellulosa e sulla celluloide. Se Z-Axis, il nome degli sviluppatori di X-Men: Il gioco ufficiale, difficilmente può suscitare emozioni ai più (servirebbe appartenere alla nicchia di cultori di Aggressive Inline), a mettere in fibrillazione i fan sono quelli di Zak Penn, co-sceneggiatore di X2 e X3, e soprattutto di Chris Claremont, figura chiave nell’evoluzione del fumetto, da essere considerato il padre dei mutanti moderni. I due sono chiamati a dar corpo a un piano apparentemente ambizioso, che intende legare a doppio filo il mondo dei videogiochi e del grande schermo, facendo di entrambi un unico, esteso ottovolante dell’intrattenimento. Anziché offrire una versione ridotta e interattiva del film, X-Men: Il gioco ufficiale opta per la stesura di un’avventura complementare, un prologo che leghi insieme la seconda e la terza pellicola accompagnando, di scazzottata in scazzottata, il giocatore ai titoli di testa di X-Men: Conflitto finale. L’idea non è nuova. Recentemente, qualcosa di simile era stato fatto con ottimi risultati in The Chronicles of Riddick: Escape from Butcher Bay e, più rovinosamente come soluzioni ludiche ma non come successo commerciale, in Enter the Matrix. A quest’ultimo X-Men: Il gioco ufficiale si riallaccia anche per la presenza di un racconto sviluppato seguendo più sentieri paralleli, con altrettante vicende e prospettive: quelle di Wolverine, di Iceman e di Nightcrawler. La base di partenza sembrerebbe quindi molto interessante, ma l’esperienza insegna che dalla carta al codice il passo non è breve. Alle buone intenzioni di Z-Axis si contrappone infatti l’incapacità degli sviluppatori di concretizzare gli sforzi messi in campo, confezionando un gioco monotono e scialbo, che ha poco di sorprendente oltre ai nomi altisonanti nei titoli di coda. Gli schemi sono visti e rivisti. La stessa visione narrativa, potenzialmente accattivante, si dimostra sottodimensionata e non efficacemente coesa con l’azione, comunque il vero punto debole del videogame. L’impressione è che X-Men: Il gioco ufficiale sia figlio di un pretestuoso conservatorismo, molto di moda nell’industria oggi, e di qualche difficoltà di dialogo di troppo tra i diversi media. Riprendendo il discorso di Howard Scott Warshaw ed E.T., allora Steven Spielberg aveva suggerito al programmatore Atari di fare del film una specie di Pac-Man al posto di una bizzarra caccia al tesoro. Chissà se alcuni atteggiamenti rigidi di questi anni non nascano inconsciamente da lì. Gli stessi che avevano caratterizzato un altro agglomerato di luoghi comuni, X-Men 2: La vendetta di Wolverine, spin-off del 2003 firmato per Activision da GenePool, che ripercorre la vita del mutante più famoso, riferendosi senza molta fortuna al ciclo Arma X di Barry Windsor-Smith.
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