Ognuno ha i propri gusti. C'è chi, come il Team Ninja di Tomonobu Itagaki, adora i seni sopra la quarta misura. E chi, come i Monolith, prova piacere a spaventare la gente. Condemned, atipica avventura in prima persona sviluppata per accompagnare il lancio di Xbox 360 e giunta ora anche su PC, prosegue questa tradizione. Gli appassionati troveranno atmosfere disturbanti, personaggi malati e una cupa cappa di decadentismo post contemporaneo. Il videogame è ambientato in un futuro della porta accanto, tra i misteri di una metropoli americana sedotta dal vizio. Ogni genere di reietto, dai tossicodipendenti ai senzatetto, sembra aver ceduto o stia per cedere al più oscuro fascino del male. Come in preda a irrefrenabili pulsioni omicide, psicopatici assetati di sangue hanno preso il controllo di intere aree della città, dove perpetrano i più efferati delitti. Una domanda tormenta Ethan Thomas: cosa trasforma una persona normale in un assassino? Cosa passa per la mente di un serial killer? Ethan Thomas è un agente Fbi, uno dei più abili. Si sta occupando di un caso importante, di quelli costantemente sotto l'occhio dei media, che riguarda le opere di uno dei più brutali killer seriali dai tempi di Jack lo squartatore. E viene incastrato. Accusato della morte di due compagni, spinto spalle al muro e abbandonato (quasi al completo) dalla sua squadra, Ethan ha un’unica possibilità per cavarsela: scavare da solo nel suo inferno dantesco, alla ricerca delle prove capaci di scagionarlo. Da cacciatore a preda, per uscire vivo da questa storia sarà costretto a mettere da parte il distintivo e iniziare a ragionare lui stesso come un assassino.
Condemned vi costringe nei panni scomodi dell’agente Thomas, impegnato in una discesa mefistofelica nella corte dei disperati di una città sotterranea di quartieri dimenticati. Tematiche forti e taglio patinato, per un titolo che inserisce un incisivo studio sulle potenzialità ludiche ed emotive della visuale in prima persona all’interno di un canovaccio di azione altrimenti piuttosto convenzionale. Sebbene la prospettiva dagli occhi del protagonista possa indurre a ragionare diversamente, il cuore del gioco non sono le sparatorie, bensì i combattimenti. Di tutti gli strumenti di offesa che si raccolgono durante l’avventura, pistole e fucili sono quelli utilizzati più raramente. Il videogame Monolith sfrutta infatti la prima persona per una riproduzione carnale ed estremamente violenta delle mischie con oggetti contundenti. Assi chiodate, tubi di ferro, mazze e sportelli sono al centro di un sistema di lotta magari non ricchissimo, ma coinvolgente. Che costruisce sulle conseguenze dei fragorosi impatti delle armi sul corpo una parte rilevante del suo bieco divertimento. Anche se lo spunto, bisogna ammetterlo, devia presto in una reiterata citazione di se stesso. Così come gli scenari, che secondo una tendenza Monolith recente, tendono a una certa omologazione degli arredi e degli ambienti, che non aiuta a tenere alta l’attenzione del giocatore.
A incollare al monitor collaborano maggiormente l’atmosfera torbida della vicenda, un thriller tra Seven e l'innaturale, e gli elementi di carattere investigativo, prelevati da telefilm come Csi e infilati senza troppe pretese nella struttura di Condemned. Dato che le ricerche di tracce chiave sui luoghi dei delitti sono sì molto teatrali, con tanto di gadget high tech, ma non altrettanto interattive. Ulteriore sintomo di un progetto che ha privilegiato la forma alla sostanza, dimenticando di approfondire meglio la materia ludica e gli interessanti principi narrativi. Accontentandosi, per ora, di sondare il mercato come un gradevole blockbuster. Per gli amanti dei paesaggi più tetri e del fiato sospeso. Del ghigno beffardo quando spappolano il cranio di un nemico. E del rumore.
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