Nel gioco si controllano rispettivamente: un samurai giapponese biondo con le corna il cui miglior amico è un bambino-scimmia, che penzola a testa in giù da un sacchetto legato a un filo teletrasportabile; una petulante ragazzina ninja con gli occhi di diverso colore; un monaco guerriero dall’età indecifrabile; un chierichetto spagnolo alto due metri campione di boxe; una pistolera sexy del 1600. Mettetevi il cuore in pace, Onimusha non abbandona sentieri trash, sebbene nel complesso Dawn of Dreams non li calpesti così pesantemente come il terzo episodio, Demon Siege, rivelando addirittura nel finale uno spirito epico e squisitamente orientale come non se ne gustavano da parecchie occasioni. Magari tendente al banale, obbietteranno i più i puntigliosi, ma con stile e che nell’insieme funziona benissimo. Emozionante.

Magia di un eclettismo tutto giapponese che può esistere solo nei videogiochi ed è un po’ il leit motiv del quarto Onimusha. I primi minuti sembra quasi di trovarsi in un Devil May Cry a sfondo storico. Poi si matura l’impressione che si tratti di una rivisitazione fantasy, di cappa e spada, di Resident Evil. Umori non inverosimili anche a guardare all’origine della serie, che Capcom stessa pone a cavallo – ai tempi più che altro strutturale – tra la saga degli zombie e la successiva, demoniaca. Ora si gettano però delle idee che non è escluso propizino un domani una connessione diretta fra le plagas di Resident Evil 4 e i genma di Onimusha, quando non un punto di contatto tra i mondi di Leon, Dante e Samanosuke. Si sta vaneggiando, certo, nonostante sia doveroso ammettere non esista limite alla propensione delle case nipponiche alla telenovela. E alla provvidenza.

Un po’ dell’una e un po’ dell’altra hanno favorito la nascita di Onimusha Dawn of Dreams, l’episodio con cui si apre - tra mille rimandi - la seconda epopea dell’action game Capcom ambientato nel Giappone antico. Conclusa la “trilogia del demone” Nobunaga, su PlayStation2 sorge il sole del XVII secolo. Gli eventi di Onimusha Dawn of Dreams accompagnano il giocatore all’alba di questa nuova era, dal 1596 fino a uno sguardo fugace sui primi mesi del 1600, dal primo al quinto anno del regno Keicho. I riferimenti storici sono sempre un tratto distintivo della serie, che mischia personaggi realmente esistiti e fatti veramente accaduti con miti, leggende e le licenze fantasy dei suoi autori. Come appunto i genma, una razza insettoide che mira alla conquista della Terra e al dominio sul genere umano, appoggiando in precedenza le mire del signore Nobunaga e adesso quelle del suo successore Hideyoshi. O gli oni, esseri magnifici dagli incredibili poteri.

Sposandoli coi piani e i sotterfugi genma, in Dawn of Dreams si accenna anche all’invasione della Corea e alla persecuzione cristiana, ai ventisei martiri della collina di Nagasaki. Lo stesso protagonista, Soki, è la lettura immaginifica firmata Capcom di Yūki Hideyasu, secondogenito dello shogun Tokugawa Ieyasu. Anche se a metterlo sulla carta non sembrerebbe, il fumettone fantasy descritto da Onimusha ha una grande forza evocativa e continua ad appassionare fino e oltre i titoli di coda (quando i fan si scervelleranno sui soggetti possibili dei futuri episodi. Certi indizi sembrano peraltro piuttosto chiari in tal senso), in un crescendo drammatico mentre si compie il viaggio iniziatico dell’eroe a caccia del suo destino. E quello della serie?

Onimusha Dawn of Dreams non è né vuole essere un titolo di rottura, ma si conferma uno dei migliori action game sulla piazza e alcune indicazioni sul domani le dà. La componente ruolistica, accennata nei precedenti capitoli della saga, viene ora approfondita attraverso un esteso numero di armi elaborabili e personaggi che, guadagnando esperienza sul campo, aprono al giocatore le porte di un paradiso fatto di attacchi e difese più efficienti, insieme a mosse extra da acquistare. Ciò non solo per il protagonista, ma anche per i gregari, che possono essere usati in prima persona così come affidati all’intelligenza artificiale e gestiti da lontano, con ordini di ingaggio elementari. Ai personaggi secondari sono legate pure le logiche da avventura, riassumibili in ambienti e azioni accessibili o precluse a questo o a quel guerriero. Ad esempio il monaco Tenkai è l’unico in grado di parlare coi morti e il pugile Roberto il solo a poter spostare pesanti blocchi di pietra.

Questa caricatura adventure è, insieme alla tendenza Capcom al riciclaggio di elementi grafici qua e là, l’aspetto meno riuscito del minestrone, quasi un obbligo tedioso che mal si coniuga con lo spirito di azione. Nelle situazioni in cui si viene chiamati, con soddisfazione, ad affondare la spada nei corpi putrefatti dei nemici c’è invece da leccarsi i baffi. Al bestiario poco fantasioso fanno da contraltare dinamiche di lotta diversificate per personaggio e piuttosto approfondite, accoppiate a un’inedita telecamera libera che permette inquadrature stupefacenti sulle coreografie 3D. Il sistema di combattimento è un’evoluzione sostanziale di quello degli altri Onimusha, che recupera la grande fisicità di un altro titolo Capcom, Shadow of Rome. In questa nuova giostra dal ritmo incalzante, il giocatore ha un controllo molto maggiore sui colpi e concessioni interpretative allettanti.

Dawn of Dreams non avrà quindi una formidabile chiarezza formale, ma non gli mancano assolutamente fascino e divertimento. Il primo, superata qualche titubanza, riporta in alto l’indice di gradimento dopo le troppe esagerazioni del numero 3; l’altro, in fondo, non era mai stato così ben elargito. Senza contare la durata, diverse spanne sopra la media del periodo, e il valore della produzione, ancora al vertice dell’offerta giapponese. Ecco: un kolossal stile Capcom solo un po' al risparmio, non sprecone. Se lo si può sostenere di qualcosa con un budget abbondantemente milionario.