Proprio quando la nostalgia per i punta e clicca di una volta è ormai piena di amarezza e ogni speranza per un colpo di coda del genere sembra perduta, accade qualcosa che gli avventurieri del PC non avevano previsto. L’eredità della LucasFilm Games viene accolta dalla creatura più improbabile che ci sia, un piccolo egizio, Assil figlio dell’architetto del faraone. Perché è arrivato il momento in cui i piccoli egizi plasmeranno la fortuna di tutti gli appassionati di The Secret of Monkey Island, a patto di chiudere un occhio su qualche imperfezione qua e là e di non lasciarsi sfuggire Ankh. La storia di un piccolo egizio dell’antichità di nome Assil, che per un quiproquo di bischerate si becca la classica maledizione della mummia. Secondo cui prima o poi, ma più prima che poi, sarà raggiunto da morte certa. Il solo in grado di salvarlo, manuale delle fatture alla mano, è il faraone e il giovane non esita a lanciarsi in una corsa rocambolesca tra i segreti e le caricature di un Egitto paradossale. Lì recitano consapevoli del loro ruolo gli attori digitali più strambi, in un clima surreale dove l’impossibile diventa plausibile e a nessuno verrebbe voglia di domandarsi se sia nata prima la ruota o il duty free.
Ispirato al titolo omonimo del 1998 firmato Artex Software (ora assorbita da Deck13) e simbolo della vita, Ankh è un’avventura grafica vecchio stampo carica di humour demenziale, non di durata epocale, ma con tutti i tasselli al posto giusto. L’unica concessione alla modernità è rappresentata da una grafica poligonale, costruita sulla base di un motore 3D opensource (http://www.ogre3d.org) che, se da una parte ha permesso di abbattere i costi di sviluppo, dall’altra non dà affatto l'impressione di essere una scelta di ripiego. Una buona percentuale del merito va alla direzione artistica del titolo, che è stata chiamata a leggere l’antico Egitto secondo uno stile bizzarro da cartone animato, dove anche i piccoli particolari, come un casco di banane, assumono importanza e costituiscono il segreto di un’alchimia sottile. Senza bisogno di stupire con una mole spropositata di poligoni e una miriade di effetti speciali, Ankh riesce a non perdere identità in quella trasmigrazione dalle due alle tre dimensioni che in passato aveva mietuto vittime illustri, fattesi simulacri freddi e sintetici di se stessi. Ed è appunto l’attenzione a mille dettagli apparentemente superflui e un’altrettanto amorevole caratterizzazione di luoghi e personaggi - non ha grosso rilievo se primi attori o comparse – a testimoniare con che passione sia stato portato avanti il progetto da Deck13 Interactive, una piccola casa di sviluppo tedesca aiutata in questa avventura dalla consulenza dei ragazzi di Telltale Games, una ciurma di profughi della Lucas punta e clicca. Pur non potendosi dire un classico, in Ankh si respira a pieni polmoni il sapore della stagione d’oro LucasFilm Games, di The Secret of Monkey Island, degli Indiana Jones, di Day of the Tentacle o Zak McKracken and the Alien Mindbenders. Non mancano naturalmente le citazioni, che strizzano l’occhio al mondo dell’intrattenimento in generale e non solo ai videogiochi, così come frivolezze simpatiche quali ad esempio divagazioni nonsense infilate nei dialoghi a scelta multipla. Di solito una strada soltanto porta a conoscenza delle informazioni necessarie per proseguire, ma è addirittura piacevole perdere tempo insistendo nel discorso su una linea non fondamentale, alla quale gli autori hanno comunque riservato considerazione, dando spesso origine a derive secondarie esilaranti. Almeno un sorriso lo strappano sempre anche gli enigmi, per la cui risoluzione occorre chiudere per un attimo gli occhi e spostare la mente all’interno di una realtà non proprio razionale. Meglio cioè mettersi il cuore in pace e abbracciare la logica dell’assurdo, come ai vecchi tempi di Caval donato (questa la capiranno in due) e oggi di un braccio del capitano per un coccodrillo (ding: citazione!). Appena entrati in sintonia con l’atmosfera del gioco si tratta semplicemente di guardarsi bene intorno e combinare questo e quell’oggetto, al massimo spostandosi avanti e indietro per un paio di scenari. In aiuto ai più smemorati c’è poi una pagina con riassunto aggiornato degli obbiettivi.
Sembra insomma che i primi ad essersi divertiti con Ankh siano stati proprio i bontemponi di Deck13 e che, precedentemente, lo avessero fatto con gli stessi titoli adorati dai videogiocatori. Uno dei migliori biglietti da visita che una produzione possa vantare. Gli altri, nel caso di Ankh, sono i premi di miglior gioco e miglior colonna sonora, assegnatigli nel 2005 al Deutsche Entwicklerpreis di Essen, l’annuale raduno degli sviluppatori della Germania.
Ankh
Immagini del gioco
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