Luca Zaffini ha trentuno anni, è pesarese ed è laureato in economia, con un master in diritto delle banche e dei mercati finanziari. Ha pubblicato in precedenza il racconto Teoria. Omega sul numero 45 di Robot ed è giunto finalista ai premi Lovecraft, Alien e al Premio Italia. Painlog, pubblicato per i tipi di Delos Books, è il suo primo romanzo e già fa discutere per uno stile diretto e crudo e soprattutto per le tante idee gettate al lettore, che si fa avvincere, pagina dopo pagina, da una storia inusuale e da personaggi ben caratterizzati.
Luca, sei appena comparso all’orizzonte della fantascienza italiana e già si grida al miracolo. Come ti senti di fronte a tutti questi apprezzamenti? E soprattutto, come nasce Luca Zaffini come autore?
Ho iniziato a scrivere nella primavera del 1999. Racconti, horror e fantascienza. Il mio primo lavoro è giunto finalista al Concorso Letterario Nord e ciò mi ha dato entusiasmo. Ho continuato e nel corso degli anni si sono susseguiti piazzamenti nei maggiori concorsi letterari e pubblicazioni in antologie. Nel frattempo ho lavorato a un paio di romanzi, e Painlog l'ho finito per primo. Forse perché era quasi una sfida: l'idea di base era piuttosto difficile da rendere in maniera credibile.Sono ovviamente entusiasta di questi complimenti. Mi aspettavo proprio reazioni estreme: odio o amore. Era un terno al lotto. Quando lo scrivevo, lo facevo esclusivamente per me: sapevo di stare scrivendo una cosa fuori dagli schemi, senza guardare affatto al mercato. Stavo scrivendo il libro che volevo leggere. Poteva andare bene così come essere un disastro. Fortunatamente Franco Forte e la Delos Books hanno ritenuto di poter rischiare, e sembra che le reazioni iniziali siano ottime. Ho tirato un grosso sospiro di sollievo!
Cosa significa il titolo del tuo primo romanzo?
Painlog significa "Diario del dolore". Doveva essere, come spesso accade, un titolo provvisorio. L'avevo letto in qualche rituale strambo trovato sul web, credo circa l'utilizzo del dolore come catalizzatore per azioni magiche. Poi non sono più riuscito a trovare un degno contendente al... titolo. E mi sembrava pure che Painlog si adattasse bene al tema del romanzo, in fondo. Solo che poi me ne sono un po' pentito. Non è facilissimo da capire, come suono. Il prossimo lo intitolerò "Le barzellette di Zaffini" o "Luca Z." Anzi no, Luca Z. suona male.
Quello che colpisce di Painlog è il linguaggio, crudo, aspro, in alcuni casi al limite dello slang, ma godibilissimo. Come mai questa scelta stilistica?
Mi è venuta naturale, in quanto la trovo estremamente divertente e realistica. Sono stato spesso criticato per certe espressioni volgari. Ma il linguaggio volgare è in bocca a personaggi volgari. Vedi per esempio il protagonista del racconto Caniserpenti reperibile in rete. I personaggi di ceto elevato invece hanno un linguaggio più forbito. Questo cambiamento di ottica si riflette inevitabilmente nella narrazione complessiva, dato che uso un punto di vista in terza persona limitata: mi piace vedere/far vedere solo ciò che il personaggio vede. E ciò che egli vede, lo analizza e identifica con il proprio cervello. E se il suo cervello è quello di un abitante di uno slum nel ventitreesimo secolo, la bocca probabilmente sputerà parole sgradevoli anche per descrivere un fiore appena sbocciato. Un'orchidea rosa? Probabilmente una contessa ne coglierà il profumo, mentre un delinquente analfabeta ci vedrà il simulacro di una vagina. Non ho paura di far male alla vista di chi legge. Ripulire eccessivamente il dialogo non lo rende realistico, allontana il lettore. Inoltre adoro, fin troppo, l'uso di metafore molto colorite. Ovviamente il rischio pernacchia è alto. Ma quel che mi importa è che rendano l'idea. Che il lettore le veda. Per fortuna in molti mi hanno detto che mi si legge in maniera cinematografica, per immagini. Scrivo in primis ciò che piace a me, non penso ai lettori. Tuttavia spesso mi devo fermare per sghignazzare pensando alle facce di chi leggerà certe cose un po' fuori di testa...
Nel libro hai immaginato Roma e Napoli unite in Romoli. Che città è invece Adriapolis?
Adriapolis si estende dal Conero al Po, senza soluzione di continuità. Il nome l'ho rubato senza vergogna a un progetto ambizioso proposto su qualche quotidiano di diversi anni fa, quello di "unificare" Fano e Pesaro in un'unica realtà urbana. Di nome Adriapolis. Ecco, questa è pura fantascienza, visto che pesaresi e fanesi sono caratterizzati da una simpatica rivalità di campanile insormontabile.
Quanto ha contato, se ha contato, la tua origine regionale nello scegliere parte delle ambientazioni e linguaggio?
Sinceramente, nulla. Una volta deciso che il romanzo sarebbe stato ambientato in un'Italia del futuro, piazzarlo dalle mie parti è venuto naturale. Ma la Teocrazia del 2200 e oltre è talmente diversa rispetto all'Italia odierna da risultare quasi irriconoscibile. Ho messo qui e là alcuni indizi (il grattacielo di Rimini, i monti Sasso Simone e Simoncello) per divertimento, più che per utilizzarne le peculiarità. Nemmeno nel linguaggio traspare la pesaresità, dato che i personaggi di Painlog sono quasi tutti di nazionalità miste e annacquate. E' un mondo multietnico, dal linguaggio bastardo. Forse in certi modi di dire di Kaine può esserci qualche espressione tipicamente marchigiano-romagnola.
Come genere, Painlog rifugge le mode più recenti, a parte qualche citazione sui computer quantici, e si rifà forse alla space opera classica, con qualche spunto ironico, nonostante il quadro di riferimento sia quello di una storia drammatica, quasi nera. Quali sono gli autori di riferimento di Luca Zaffini per quanto riguarda la fantascienza?
Detesto la Space Opera, forse da quello deriva l'approccio ironico. L'unico romanzo del genere che mi è piaciuto, è Guerra Eterna di Haldeman. A dire il vero non amo particolarmente neppure la fantascienza. Trovo estremamente noiosa la maggior parte della letteratura di genere. Ad esempio non leggo l'universalmente acclamato Greg Egan, non ci riesco proprio.
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