Non riusciamo ad abituarci a veder scomparire grandi autori di fantascienza, anche se di questi tempi purtroppo accade di frequente, perché la generazione che rese mitica l'età d'oro degli anni quaranta e cinquanta è ormai tutta composta di ultraottantenni. Quando però se ne va un'autore giovane l'impatto emotivo è ancora più forte. E' il caso di Octavia Butler, una delle pochissime scrittrice di fantascienza afroamericane, portabandiera della science fiction omosessuale. Aveva solo cinquantotto anni, essendo nata nel 1947 a Pasadena, California, figlia di un lustrascarpe che morì quando lei era ancora bambina. Affessa da dislessia, cominciò a scrivere a dieci anni per fuggire dalla solitudine e dalla noia, e ben presto si dedicò completamente alla fantascienza.
Le sue prime cose cominciano a uscire alla metà degli anni Settanta, ma la consacrazione arriva solo nel 1984, quando il racconto Bloodchild vince il premio Hugo. Nel 1998 arriva anche un premio Nebula, col secondo romanzo (La parabola dei talenti) del ciclo della parabola iniziato con La parabola del seminatore. Entrambi sono stati pubblicati in Italia nella collana Solaria di Fanucci. Il terzo romanzo, che avrebbe dovuto completare il ciclo, non sarà mai terminato.
Il 25 febbraio è stata trovata priva di conoscenza sulla porta di casa a causa di un ictus. Portata in ospedale, è morta durante la notte.
E' stata la prima scrittrice di fantascienza a ricevere, nel 1995, il McArthur Foundation Grant, un premio assegnato per meriti speciali nel miglioramento della condizione umana.
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