É la dinamicità la chiave di lettura di Dead or Alive 4. Per il nuovo episodio della sua serie di picchiaduro 3D, il primo a capitare nella cosiddetta next-generation di Xbox 360, Team Ninja ha insistito particolarmente sul movimento. Tutto si trasforma in una gigantesca coreografia di materia digitale che danza all’unisono al di là dello schermo. Scenari animati che partecipano agli scontri; arene interattive da sfasciare per indagare oltre i confini di sovradimensionati ring aperti, sempre più ricchi, sviluppati su più livelli; colpi legati assieme in un’iperbolica sinfonia di mosse e contromosse. L’acqua crespa di un ruscello, i rettili di un fondale prelevato da Jurassic Park oppure il traffico di una strada ad alto scorrimento nel centro di Las Vegas. Fino a minuzie come i capelli accarezzati dal vento, gli abiti liberi di accompagnare il corpo, i sussulti del petto di una lottatrice - malizioso marchio di fabbrica della saga - e un effetto speciale a sfocare l’immagine in caso di affondo violento. Sono centinaia di tessere di un mosaico complesso che collaborano alla vivacità audiovisiva del concerto da cento e più decibel creato in Giappone per Microsoft. Agitazione invece di calma apparente. Ancora prima della competizione, il punto fermo di Dead or Alive è lo spettacolo, la febbre per il sabato sera virtuale. La baraonda high-tech allestita da Tecmo su Xbox 360 regala la sensazione di assistere a uno degli show di luci e suoni più imponenti offerti dalle piroette di un disco nel lettore dvd di una console. Una discoteca dei combattimenti, dove si intrecciano storie di ninja, wrestler, maestri saggi e disgraziati bevitori, sosia di Bruce Lee e pin-up, assassine e militari, demoni, leggende, ingegneria genetica e fantascienza, ognuno con il suo motivo per essere lì, a menare le mani, prendendo le mosse in prestito da una fra tante arti marziali. Non è di sicuro quella della moderazione la via perseguita da Tomonobu Itagaki, responsabile primo del gioco, che preferisce piuttosto lastricare la strada del suo picchiaduro di pietre preziose e bigiotteria, degli eccessi da esibizionismo rock dei tempi d’oro (l’intro del videogame è, da consuetudine, un brano degli Aerosmith, stavolta Eat the Rich). L’impasto iconografico di Dead or Alive è un’opera kitsch di eclettismo nipponico, che eredita le sue figure dalla cultura pop del Sol Levante, sospesa tra sguardi futuristici e tradizione, eleganza ed esagerazione. Un fumettone di andirivieni squisitamente contraddittorio e orientale, tempestato da conigliette digitali che giocano un ruolo preponderante nel cast e non vanno mai sotto la terza abbondante di reggiseno. Eppure, in questo vigoroso vortice di influenze e immagini sfarzose, di ricerca di un dinamismo esasperato e richiamato con ogni trucco, Team Ninja dimostra altrettanto fortemente di possedere uno spirito conservatore. Lo stile grafico non sacrifica sull’altare dell’alta definizione il suo carattere unico nel panorama, figlio dei dettami della scuola di animazione giapponese e tratteggiato con delicatezza, per mezzo di stereotipati volti scolpiti nella porcellana. In Dead or Alive 4 non c’è tanto il desiderio di iperrealismo, quanto la volontà di entrare nella sala di regia di uno splendido, sgargiante cartone animato tridimensionale. Ma dove Tecmo esprime maggiormente la sua idea di immanenza è nella giocabilità. Stretto il pad tra le mani, ci si accorge che dalle recenti iterazioni della serie poco è cambiato. Alle critiche di privilegiare la forma piuttosto che la sostanza, Itagaki risponde rifinendo qua e là la sua produzione, alleggerendo il peso di alcune combinazioni dalla triste fama di fatali ponti per ko, bilanciando con più perizia calci, prese e pugni a disposizione del pantheon di atleti. Nessuna rivoluzione però, nessuna inversione di rotta: solo la riformulazione, perfezionata, di ciò che era stato precedentemente detto. L’unica concessione, se così la si può chiamare, è l’innalzamento della difficoltà nella modalità per singolo giocatore. Un modo come un altro per dire di applicarsi, di approfondire il pensiero di picchiaduro che Team Ninja ha posto in seno a Dead or Alive. Non c’è più la possibilità di passeggiare per gli stage, non c’è più la possibilità di arrivare impreparati al perfido boss finale. Al massimo furbi, perché qualche trucco per barare lo si impara presto, ma del tutto impreparati no. Itagaki deve aver pensato che parte della nomea cattiva di Dead or Alive derivasse da un pubblico che prendeva sottogamba il videogame. Certo, in un titolo di lotta la modalità solitaria è rivolta ai meno smaliziati; per i duri la palestra migliore resta quella multiplayer. In tal senso risulta molto promettente la compatibilità con i match on-line, via Live, un germoglio che potrebbe far crescere la comunità di giocatori, portandola magari a decifrare i segreti di un videogame di lotta il cui limite principale, sembra essere convinto Itagaki, risiede nell’essere snobbato dai campioni della disciplina, nell’essere addentato dagli amici del bar solo nella sua sfoglia superiore. Chissà se grazie all’esperienza che maturerà on-line Dead or Alive 4 non dia ragione ai suoi autori. Seppure è difficile credere che la scena hardcore, che non ha mai tollerato aspetti chiave della produzione Tecmo (come il movimento tridimensionale non completamente libero oppure l’opulenza di variabili sceniche volte allo spettacolo, ma che indubbiamente appesantiscono la morra cinese alla base del genere di gioco), cambi opinione. A Itagaki pare comunque importare poco. Chi mi ama mi segua. Chi ama i grovigli di amazzoni mi segua di più. Ecco, Dead or Alive 4, più di qualunque altro titolo della serie, è un videogame disposto solo a farsi amare o essere odiato. Perché all’appuntamento col salto generazionale preferisce rompere col pubblico supplicante piuttosto che con se stesso o con i suoi vecchi, chiacchierati, schemi di gioco, i quali anzi si irrigidiscono. Se per voi non è un problema e possedete una brillante hd tv (condizione necessaria per godere appieno dell’evoluzione visiva del quarto capitolo), troverete una tavola abbondante dove banchettare, di nuovo, col vostro piatto preferito, più nutriente oggi che allora. Altrimenti vi troverete seduti a una riunione conviviale, circondati da chef che fanno orecchie da mercante, servendovi non ciò che avete chiesto, ma la specialità della casa, una pappa risultata ai puristi più volte insipida e mal digerita. Morale: Team Ninja ha scelto. Ora tocca a voi.