La prima volta che la TV trasmette i dannati, Razor Kaine si sta facendo tatuare la morte sull’avambraccio.
Alza lo sguardo, per non annoiarsi di fronte ai bambù che impregnano la carne di pigmenti vegetali. L’impianto mediatico del banchetto di tatuaggi, essenziale per distrarre i clienti dal dolore e dalle condizioni igieniche pari a una fogna di Calcutta, è un vecchio 16:9 al plasma. Lungo i montanti, a coprire ammaccature sul telaio d’alluminio, adesivi fluorescenti di prodotti per la calvizie. L’immagine nello schermo è grigia come cenere vulcanica. E’ essenzialmente per lo scialbo paesaggio sul display, peggio delle montagne Afgane in una notte invernale, che Razor non si sofferma sulle immagini e sulle scritte in sovrimpressione. Scambiando i latrati d’afflizione per un nuovo video rock torna a osservare il lavoro del tatuatore, un vecchio tunisino con la cataratta all’occhio destro. Utilizza un sadico metodo tradizionale di tattooing, percuotendo bastoncini di bambù con un martello.
Kaine, contravvenendo al codice d’onore, è riuscito a sbirciare il lavoro del tunisino. Fino a quel momento ha disegnato il cappuccio nero della Grande Mietitrice. Il Caino in Brasile si era fatto tatuare un tribale, recandosi presso gli Yanomami e sfidando la malaria e i piranha. Quella tribù usava un metodo simile a quello del tunisino, usando un ferretto ricurvo e appuntito intinto nella fuliggine bagnata. Altro tatuaggio in Congo, con un processo di scarificazione molto simile a quello del tunisino e degli Yanomami, ma senza inchiostro. Secondo il vecchio della tribù baTeke che gliel’aveva inciso, è il simbolo del leone. A Kaine la cicatrice sembra più l’orma di un fottuto orsetto.
Il tunisino sta martellando con soddisfazione. D’un botto il cannibale molla tutto, i bambù che rotolano a terra come i pastelli di uno scolaretto. Indicando le immagini, mugola cigolii isterici in qualche dialetto di Tunisi. Kaine guarda di nuovo lo schermo graffiato, la parte destra dell’immagine mangiata da un ectoplasma d’elettroni neri. Ma cazzo, la parte sinistra dell’immagine è l’inferno, e non in senso metaforico.
Il ponte di Baracca è un coito interrotto con l’Adriatico. E’ detto “di Baracca” non in onore dell’aviatore, ma per le migliaia di stamberghe simili a cucce di cane che si arrampicano sui suoi piloni. Sotto le arcate incompiute si squagliano mercati cosmopoliti, ceffi rimbalzano tra le botteghe come perline colorate. I reietti che brancolano in questa sezione di Adriapolis sono apostati di religioni false. Per entrare nella Teo è necessario rinnegare la propria religione bugiarda. La maggior parte degli abitanti l’ha fatto solo per convenienza dopo la Reconquista, quindi sono pochi quelli che escono di testa a causa dalle immagini televisive infernali. Tra quei pochi uno è il maledetto tatuatore tunisino che, evidentemente, all’inferno ci crede davvero. Schizzando via in un cortile buio, fa cadere il televisore, che si frantuma sulla strada oleosa.
Razor si alza e rimira il tatuaggio incompleto. Il cappuccio della Morte sembra una fica.
Urge trovare nuove fonti di informazioni. Razor s’infila con cautela la camicia a sbuffi di lino grezzo, il corpetto e i guanti di pelle nera. Farsi confezionare quel completo da schermidore con vera pelle gli è costato i proventi di due armi, e gli scoccerebbe macchiarlo. Sotto il ponte inizia a serpeggiare inquietudine come polvere per starnutire, e i mercanti che chiudono baracca e burattini per andare a seguire le news.
Razor ne approfitta per requisire un TV palmare da un carretto di anticaglie. Il nigeriano che lo stava chiudendo inizia a bollire in pentola, esigendo la restituzione del maltolto. Razor non demorde, perché il tatuaggio vaginale sul braccio gli ha provocato un giramento di palle che in qualche modo deve sfogare.
- Sgomma. O proverai il sesso anale coi miei stivali.
Il TV da tre pollici funziona: rivoltandolo Razor scopre che è alimentato con un foglietto al litio malamente occultato dall’adesivo con le specifiche tecniche. Visto che tutti i networks le trasmettono in continuazione, trovare le immagini dall’inferno non è difficile.
Le scritte che scorrono sul fondo dello schermo sono illeggibili come un rivolo di colla. Negli spezzoni che riesce a distinguere, Kaine legge che le immagini trasmesse sono state rubate da un hacker dagli archivi Nehilaisti. Sembra provengano da un buco nero.
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