Leggendo la enorme produzione di Philip K. Dick si può rimanere ancora stupiti di come lo scrittore americano si riveli sempre una fonte di spunti di riflessioni, oltre che di sorprese narrative, a ogni nuovo libro che si legge. Come in L’androide Abramo Lincoln, ripubblicato da Fanucci nella Collezione Dick.
Questo libro, parente stretto dei successivi capolavori Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e I simulacri, ha avuto un percorso travagliato essendo stato scritto nel 1961, pubblicato in rivista come A. Lincoln Simulacra solo nel 1969, e infine in volume nel 1972, col titolo definitivo di We Can Build You. Il romanzo quindi è stato scritto all’inizio del periodo più prolifico di Dick ed è naturale notare una sorta di continuità con molti altri libri successivi, trattando, oltre a quelli legati agli androidi, i temi delle psicopatologie come vere e proprie malattie sociali, simbolo di un più vasto disagio diffuso in larghi strati della società; l’impotenza dell’individuo di fronte alla complessità del mondo tecnologico che sta nascendo; la riscrittura e la rilettura della storia alla luce di diversi valori etici, e attraverso e le azioni e la psicologia di figure come Lincoln o Edwin M. Stanton, il suo ministro della guerra; la dark-haired girl, sorta di archetipo femminile da cui Dick e i suoi personaggi sono attratti irresistibilmente e respinti allo stesso tempo; la ricerca continua, attraverso le mediocrità dei protagonisti ed i loro limiti, di una via di uscita da una realtà in continua evoluzione, seducente ma foriera di paure più grandi della comprensione che gli individui ne possono avere. Come ha scritto Carlo Pagetti nell’introduzione a questa nuova edizione, L’androide Abramo Lincoln risulta un romanzo ibrido, in quanto è sia romanzo fantascientifico (creando un contesto fantascientifico) che un romanzo realistico, raccontando il percorso del protagonista, Louis Rosen, verso la schizofrenia e lo scollamento dalla realtà, dietro l’impulso che lo fa innamorare della giovane Pris, la figlia del suo socio Maury Rock, e che ha disegnato e ideato i due simulacri di Stanton e di Lincoln. Pris stessa (sorta di madre dei due androidi) può essere considerata il centro del romanzo, il personaggio intorno al quale girano gli altri, esercitando un potere attrattivo direttamente proporzionale alla sua instabilità (la ragazza è uscita da poco da una clinica psichiatrica), durezza, cattiveria e determinazione nel perseguire i suoi scopi. Scopi, che si traducono nel voler incontrare a tutti i costi il miliardario Sam Barrows, che tenterà di entrare nell’affare dei simulacri, e che usando Pris ne sarà egli stesso vittima, sfuggendo la ragazza ad ogni schema, in virtù delle sue psicosi.
Louis innamorandosi di Pris svilupperà e moltiplicherà le sue ossessioni, identificandosi sempre di più con Abramo Lincoln e con i suoi problemi e la sua vita, creando sempre più un rapporto col simulacro che più che di amicizia sarà di dipendenza, aggrappandosigli per trovare la determinazione di strappare Pris a Barrows, con l’unico risultato di sfociare nella pazzia e tentare di fuggire dalla realtà, forse per essere più vicino alla ragazza che lo ha ingannato e deriso.
I due simulacri in tutto questo fanno da mediatori, non vogliono farsi vendere e quindi diventare prodotti commerciali, discutono di politica e di filosofia, ambiscono a posizioni di potere, come Stanton, o si tuffano nel piacere della lettura di libri per bambini, come Lincoln, incantato da Peter Pan e da Winnie the Pooh, e sempre pronto a lasciarsi andare ad un velo di tristezza e di depressione. Sono uomini d’altri tempi, di sani principi e valori ma del tutto inadeguati a quel 1982 in cui Dick li fa resuscitare, e in cui si immagina, per scopi commerciali, che si possa rimettere in discussione il risultato della guerra di secessione facendola combattere di nuovo da eserciti di simulacri.
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