Dopo un’ora e dieci minuti di proiezione Kong è catturato per poter essere trasportato a New York, a bordo di una zattera trainata dalla nave. Il viaggio verso la città non è raccontato e l’ultima parte del film è tutta incentrata sulla fuga di Kong, a partire dal teatro nel quale è stata esposta al pubblico “l’ottava meraviglia del mondo”, fino al drammatico e celeberrimo finale nel quale il gorilla si arrampica sull’Empire State Building portando Ann con se. Viene abbattuto da mitragliatori posti a bordo di alcuni aeroplani che lo raggiungono in vetta al suo ultimo rifugio e i due che sono a bordo del velivolo che da il colpo di grazia sono proprio i due registi. Battuta finale a suggellare il tutto: non sono stati gli aeroplani, è stata la bella a uccidere la bestia.
Fine del film, inizio del mito cinematografico di Kong, che continua ancora oggi come dimostra il remake di Jackson, un regista certamente tra i piu’ importanti e innovativi del cinema attuale al tempo stesso profondamente legato alle emozioni, tempi e stilemi del cinema classico. Il grande successo di King Kong alla sua prima uscita salvò letteralmente la RKO Pictures dalla bancarotta, e per avere una misura del rientro commerciale del film basti citare che nei soli primi quattro giorni di programmazione a New York incassò quasi 90mila dollari, in un periodo in cui un biglietto costava circa 15 centesimi di dollaro. Successivamente il film è stato ridistribuito molte volte, sia negli USA che nel resto del mondo, sino a divenire disponibile anche al pubblico odierno grazie alle sue trasmissioni televisive e disponibilità nel mercato dell’home video, in video cassetta prima e più recentemente in DVD. Nel 1976 ne è stato fatto un remake, prodotto da Dino De Laurentiis.
Come spesso succede quando c’è un grande successo di mezzo c’è stato qualche sgomitamento per contendersi la paternità del mito. Chi ha avuto l’idea originale da cui è nato questa sorte di Polifemo peloso e innamorato? Essendo Omero evidentemente impossibilitato a dire la sua rimangono coloro direttamente coinvolti nella produzione del film. Il due registi Cooper (un giornalista appassionato di aerei cresciuto tra le paludi della Florida) e Schoedsack (che veniva dall’Iowa e che si era fatto le ossa nel cinema come cameraman ai Keystone Studio, quelli delle comiche dei poliziotti) avevano già lavorato in precedenza insieme realizzando dei documentari di viaggio. Rimasti colpiti dalla potenza dei gorilla avevano pensato di realizzare una pellicola nella quale un gigantesco gorilla combattesse contro dei dinosauri e per questo avevano pensato bene di importare delle iguane da utilizzare su un set cinematografico. Quando il produttore David Selznick portò Cooper alla RKO si resero entrambi conto del lavoro che O’Brien aveva nel frattempo già fatto nella produzione di un film che stava preparando ma che infine non fu mai realizzato. Si sarebbe dovuto intitolare Creation, nel quale un gruppo di marinai sbarca su un’isola misteriosa dove ancora sopravvivono animali preistorici. La produzione del film fu fermata perché il progetto fu infine ritenuto troppo costoso ma vedendo il King Kong finito è del tutto evidente quanto ci furono state influenze mutuate da quest’altro film mai completato.
Abbandonata l’insana idea di far combattere un vero gorilla con delle vere iguane i modellini e pupazzi di animali preistorici che erano stati costruiti da Delgado per Creation finirono per prendere vita sul set di King Kong. Il romanzo del film porta tuttavia la firma di Edgar Wallace. Il noto scrittore inglese di gialli, che ha praticamente inventato il thriller moderno, era sotto contratto per la RKO che voleva che scrivesse delle sceneggiature basate sui suoi stessi romanzi. Wallace, che era nato nel 1875, morì nel febbraio del 1932 per cui è difficile stabilire quanta farina del suo sacco ci fosse nel processo creativo che portò a Kong. Sua figlia verso la fine degli anni ‘70, dopo l’uscita del remake di De Laurentiis, in una lettera aperta ad un giornale sostenne che l’idea originale fosse solo ed esclusivamente del padre. Wallace tuttavia è accreditato come l’autore del romanzo omonimo (Longanesi Editore) ma per quanto riguarda il film il soggetto è attribuito sia a lui quanto a Cooper, mentre per la sceneggiatura sono accreditati ufficialmente solo James Creelman e Ruth Rose (che era la moglie di Schoedsack). Nessuna controversia invece per la poderosa partitura sonora, grondante di tamburi e toni cupi e al tempo stesso spettacolari, che fa da commento musicale al film, famosissima e recentemente anche ristampata in CD. L’autore è Max Steiner (1888 – 1971), viennese trapiantato e Hollywood che poi avrebbe composto anche altre acclamate colonne sonore per altri super classici come Via col vento (1939), Quarto potere (1941) e Casablanca (1943).
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