Raramente un libro ha raccolto le gesta di un numero tanto spropositato di personaggi. Lungo le sue righe le imprese folli di Pirata Prentice, speziate con incubi deliranti e preziose ricette gastronomiche, si intrecciano a quelle di Roger Mexico, statistico al servizio dell’intelligence bellica della Corona Inglese, le ossessioni di medici e neurologi pavloviani degenerano nelle insofferenze delle loro cavie impotenti, alle perversioni dei gerarchi nazisti fanno da contraltare le speranze delle loro vittime accondiscendenti, gelose del loro ruolo di agnelli votivi, e la vocazione sacrificale dei soldati neri arruolati nello Schwarzommando agli ordini del Reich. I piani segreti di Čičerin, anomalo agente speciale sovietico trasformato in cyborg, intersecano le avventure picaresche di Tyrone Slothrop, collante e punto focale delle mille trame intessute nel romanzo. E su tutti incombe la figura sinistra e inquietante di Blicero, che è un ufficiale delle SS ma sembra essere anche qualcosa di più, se non l’incarnazione stessa del male almeno una sua ombra piuttosto credibile. Nelle sue mani è racchiuso un immenso potere di morte e distruzione e dalla sua portata nessuno può sentirsi al sicuro.Blicero è forse solo uno spettro, che vive nelle menti delle persone con cui entra in contatto (e sempre nelle vesti di persecutore, ora suppliziante, ora giustiziere). Slothrop, invece, è la chiara personificazione di un ente. Abbandonato a se stesso, si aggira tra le rovine di Londra prima e del cuore dell’Europa poi guidato dalle sue straordinarie erezioni (sic!) verso il futuro punto d’impatto delle V-2. Nel suo passato si nasconde il segreto di un condizionamento pavloviano: è questa sua sensibilità spinta all’estremo a renderlo tanto “intuitivo”. Ma Slothrop non è solo un freak, un mutante, forse, a suo modo, un esemplare di “uomo nuovo” partorito dalla Catastrofe. Il suo ruolo può essere compreso esaminando la trama dei riferimenti disseminati – mai casualmente – dall’autore. Se le sue iniziali sono quelle di Eliot (T.S), il suo stesso cognome (contrazione di slow entropy) richiama la sua funzione, che è quella di rallentare l’entropia, il processo di disgregazione verso cui il resto del mondo sembra invece precipitarsi.Nella Zona e fuori di essa, tutti sono alla ricerca di qualcosa da usare contro qualcun altro: il fantomatico S-Gerat, l’Equazione del Graal, la Lampadina Immortale che attraversa la storia della modernità. Peccato che questo significhi anche l’annientamento per tutte le altre parti in gioco. D’altro canto è risaputo: mai, come nel corso di quel conflitto, la volontà di annientamento aveva raggiunto vette così elevate e così cieche. A prescindere da chi prevarrà alla fine, l’integrità del sogno è ormai stata infranta, l’umanità è compromessa, contaminata dal peccato.È la fine, come qualcuno ha detto , di una weltanschaaung consolidata, “una visione del mondo prima d’allora condivisa da intere generazioni di uomini”, evento che nelle lettere si era prodotto con il soliloquio di Molly Bloom . Pynchon scrive mosso dalle spinte (non a caso) contrapposte di una frattura: da una parte la consapevolezza della fine del romanzo, dall’altro la necessità di raccontare. Pynchon è animato dalla necessità di narrare storie, per questo ne affastella centinaia, forse migliaia, una sull’altra, spinto da un’impellenza e da una convinzione: la sua diventerà l’opera definitiva, dopo non sarà più possibile dire qualcosa, continuando a farlo come lo si era fatto fino ad allora. È la sublimazione e la trascendenza del processo innescato da Joyce e da questo nato come riflesso e come reazione.Ed ecco, dunque, che il romanzo concepito nel segno di un’ambizione scandalosa assume la forma di un Catalogo: un elenco di personaggi, di oggetti, di luoghi, di nomi intessuti in un’opera complessa al punto da rasentare l’impossibile, smisurata e incommensurabile, tragica e grottesca come l’ambiguità eroicomica della vita, sorretta da slanci mistici e irrimediabilmente attratta dalla fascinazione della pornografia. Un’opera unica, un capolavoro meraviglioso di brio e inventiva, che coinvolge il lettore in un viaggio psichico, intrappolandolo nella carlinga cromata di un razzo lanciato alla velocità della luce contro una massa critica di parole e significati, un sole sulla cui superficie incandescente danzano rune e simboli matematici, in procinto di esplodere in una supernova d’informazione.Molto altro ci sarebbe da dire su questo libro, dell’iconografia scientifica (con tanto di formule riportate nel testo), dell’iconoclastia letteraria (convenzioni e certezze vengono frammentate praticamente a ogni pagina), della mitopoiesi popolare (con personaggi stravaganti che assurgono a eroi della nuova epoca, tanto da essere citati in allegre ballate all’interno del romanzo stesso). Ma non basterebbe un altro libro, per tener fede al proposito.Alla fine, dopo mille pagine di vagabondaggi, fughe e ribaltamenti di fronte, da questa folle ragnatela di significati emerge un’unica certezza: la negazione di ogni speranza in un destino di distruzione. In effetti, chi può dare torto a Pynchon? A prescindere da chi ha vinto, la Seconda guerra mondiale è stata per il secolo scorso la fine definitiva della nostra innocenza.
Thomas Pynchon: scritture ipertestuali dal margine
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