Come riportato nella notizia che abbiamo pubblicato lunedì, il premio per il miglior lungometraggio in concorso al Scienceplusfiction05 è andato a Puzzlehead dell’americano James Bai. La cerimonia di premiazione tenutasi domenica sera a Trieste, ha visto un gustoso siparietto di cui lo stesso regista è stato protagonista.
Jean-Pierre Dionnet, presidente della giuria, si scusa per il pessimo italiano e in francese dichiara la sua soddisfazione per la qualità dei film in concorso e per la difficoltà di operare una scelta necessaria, motivata dalla grande diversità tra i film proiettati.
Quindi è la volta di Roi Menarini di annunciare i vincitori, assegnando la menzione speciale a First on the moon di Aleksey Fedirchenko, pellicola che narra l’insolita e mai avveratasi vicenda in cui la prima spedizione spaziale con uomini dell'ONU atterra sulla luna solo per scoprire una bandiera britannica a brandelli e un messaggio scritto nel 1899. Sulla Terra, gli esperti trovano un vecchio, Arnold Beford, in un ricovero per anziani: racconta loro di come è arrivato sulla luna, oltre sessant'anni prima, a bordo dell'astronave anti-gravitazionale inventata e pilotata dal suo eccentrico vicino, il professor Cavor.
La tensione sale e l’applaudo esplode all’annucio del film vincitore del concorso: Puzzlehead di James Bai. Il regista viene chiamato due volte sul palco e appare stranito. In italiano incerto dice: “mi perdoni, non capisco italiano”, e aggiunge in inglese: “non so cosa sta succedendo”.
Il presidente della giuria gli spiega velocemente che il vincitore della manifestazione è lui. Spaesato, Bai ringrazia del grande onore riservatogli e si complimenta con l’ospitalità e l’organizzazione del festival. Sempre più imbarazzato fugge dal palco subito dopo aver ricevuto il premio. Una lezione di umiltà e simpatia del giovane regista, nato a Columbia, che ha realizzato il suo primo film animato su dieci blocchetti di Post-It (e dopo aver ricevuto conferma da suo fratello più piccolo che il cortometraggio era divertente, si è iscritto alla School of Film della Columbia University). Per preparare il film in concorso ha passato sei mesi in Alaska.
Puzzlehead narra di Walter, uno scienziato solo e asociale, completamente assorbito dalla sua ultima creazione: un robot intelligente costruito a sua immagine e somiglianza, battezzato appunto Puzzlehead. Il bimbo androide diventa tutto per Walter: progetto scientifico, compagno, badante e unico contatto con il mondo esterno. Ma le cose si complicano quando Puzzlehead si scontra con l’ossessivo oggetto dei desideri di Walter: la commessa e vicina di casa Julia. Un susseguirsi di inganni costringe ognuno di loro ad affrontare una surreale sequenza di decisioni vitali.
Sul fronte fantascientifico, quest'anno presente in modo massiccio al festival, è stata la spumeggiante presenza di Brian Aldiss ad animare i pomeriggi e le serate dei frequentatori. Aldiss ha parlato dell'idea alla base di Brothers of the head, film di Louis Pepe e Keith Fulton proiettato al festival, e del suo romanzo definito "magnum opus", che segue le vicende di una famiglia lungo l'arco del ventesimo secolo.
Ottanta anni, che regalano a questo importante e prolifico autore a tutto tondo una lucidità e una verve invidiabile, lasciano pochi segni su un fisico pronto ad esibirsi in uno scatenato Twist, a beneficio dei pochi che hanno avuto la fortuna di cenare nello stesso ristorante.
L'annuale premio Urania d’argento, assegnato al cineasta la cui carriera è stata particolarmente importante per il cinema fantastico, quest’anno è andato a Lamberto Bava.
Il regista ha confessato d'avere un sogno nel cassetto: proporre Condominium di Ballard. Ma purtroppo oggi per fare film di fantascienza in Italia ci vogliono tanti soldi, e non si trovano. La via rimane quindi quella di una fantascienza intimista, alla Ballard, appunto. Quali siano i produttori in grado di finanziare un film di fantascienza in Italia, Bava non li conosce.
Curioso il progetto del padre, il grande Mario Bava, per un film di fantascienza: un’astronave dove si ricreavano le atmosfere di Sette piccoli indiani, e che riportava sulla Terra la formula dell’acqua, scomparsa da tutto l’universo. L'astronave stessa era un mondo in disfacimento e camminava a furia di martellate. I bozzetti di Mario Bava per l’astronave, la facevano somigliare a un carro western.
Oggi basta guardare i credits di fantascienza e ci lavorano tre, quattrocento persone. Le macchine acquistate all’inizio delle riprese vanno cambiate prima di finire il film. In Italia è improponibile.
Quattro anni fa per un progetto non realizzato Bava è stato in Filmax, casa di produzione spagnola, che annovera fra le sue fila Brian Yuzna, dove ha trovato sedici persone nell’ufficio Studi e Progetti, quasi meglio di Hollywood. In Italia non si trovano due persone in un ufficio Studi e progetti. La Spagna sembra recepisce il fantastico e il futuribile meglio dell’Italia.
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