- Davvero? - fece il sovrano, sorpreso - Sei sicura?

- Ma certo. La numero diciassette è Verhonjkha. Io sono Vhalerjia.

- Uhm... forse hai ragione. - Piersilviogìn ripose la scimitarra con aria contrariata.

- Guarda cosa hai fatto! - protestò la donna, puntando il dito ingioiellato verso il corpo del servo - Proprio sul mio tappeto nuovo! Lo sai che il sangue non va più via!

- Hai milioni di tappeti! - replicò Piersilviogìn , accigliandosi - Vuoi farmi storie per questa sciocchezza, con tutti i problemi che ho?

In effetti, oltre ai tappeti e ai gioielli, il sovrano aveva donato a ognuna delle sue spose una televisione privata, una yurta in Costa Azzurra e un'altra a Milano 3. Lo dico per evitare che ai lettori sfugga qualcosa.

La donna, finalmente, si rese conto che il marito era angosciato.

- Povero micione... - lo consolò, carezzandolo languida - Cosa c'è che non va? Di nuovo le emorroidi?

- Che c'entrano le... - tentò Piersilviogìn, scandalizzato.

- Le emorroidi, vero? - insistette la donna - Con tutto quel cavalcare, è logico... Dovresti seguire il consiglio dello sciamano: per dare sollievo all'infiammazione, niente di meglio di una bella cipolla fresca ficcata su per il...

- Per quello, ho già la lingua del solerte Fedehemil. - assicurò il sovrano - Ma non sono le emorroidi a inquietarmi.

- E allora cosa, micione?

Piersilviogìn sospirò. Si strinse nella pelliccia di comunista che suo padre, Crax Khan il Valoroso, gli aveva donato al compimento dei suoi diciotto anni.

- Moglie mia, sai che tengo molto ad ascoltare la tua opinione e il tuo consiglio, prima di andare in battaglia.

- E' perché apprezzi la mia sensibilità, micione. - commentò la donna, lusingata.

In effetti, come tutte le mogli di Piersilviogìn, Vhalerjia aveva dato prova della suddetta sensibilità in occasione del primo incontro con il suo futuro sposo presso il clan cui lei apparteneva. Il sovrano mongolo aveva appena sconfitto in battaglia il suddetto clan, massacrato tutti gli uomini validi, trucidato i vecchi, rosolato il bestiame e fatto marmellata degli averi degli sconfitti. Di fronte a cotanta devastazione e alla completa strage della sua famiglia, Vhalerjia si era senza indugio denudata ed era balzata, arrapata come una cubista, tra le braccia dell'assassino dei suoi. Lo dico anche se non sarebbe necessario, perché questa volta si tratta di un fatto del tutto ovvio per i lettori.

- Domani mi unirò ai nuovi alleati e cavalcherò alla testa dell'esercito. - mormorò Piersilviogìn - Lo condurrò alla gloria o alla rovina? Tutto dipende da me... Ne sarò in grado?

La donna lo strinse a sé. - Micione, tu hai già fatto tanto. Pensa: eri un semplice guerriero del clan dei piddujst, e guarda oggi dove sei arrivato. I tuoi soldati sono dappertutto; il tuo popolo è fiero e felice; la Yurta delle Libertà è piena di tesori; il nostro ordu ha conquistato il 34% della steppa secondo gli ultimi sondaggi... Credimi, tuo padre sarebbe fiero di te.

- Tu dici?

- Ma certo. Il Cielo Azzurro ti protegge.

Era questa il nome dell'entità semidivina che il grande Khan adorava. In suo onore, a volte egli chiamava i suoi soldati "Gli azzurri". Lo dico per evitare che al lettore sfugga qualcosa. Se però ci sono ancora punti non chiari, vi prego di scrivermi.

Rassicurato, Piersilviogìn lasciò che la moglie lo conducesse al talamo nuziale, dove i due passarono la notte avvolti da calde pelli di bue muschiato, bevendo kumyss e facendo l'amore alla maniera tartara, cioè cospargendosi il corpo di salsa, appunto, tartara e poi leccandosi a vicenda. Lo dico per assicurare al lettore che effettivamente è un'esperienza piuttosto piacevole.

All'alba l'esercito era pronto per l'arrivo degli alleati. Piersilviogìn uscì dalla yurta con indosso l'armatura da guerra, blazer di yak e cerone compreso. Alla sua destra veniva il fido Fedehmil, dimenando la scimitarra come se scodinzolasse; alla sua sinistra, lo sciamano Giannjiletth agitava gli amuleti sacri per propiziarsi gli spiriti dell'aria.

Le truppe di Fin Khan erano schierate tra la riva del fiume Onon e il recinto dei cavalli. L'alleato sferzò la sua cavalcatura fino a raggiungere Piersilviogìn, poi gli si schierò al fianco.

- Vedi quella polvere laggiù, mio signore?

Il Khan aguzzò la vista. - Vuoi dire alle pendici del Burkan Kaldun?

- No, quella è il solito Camel Trophy che rompe i coglioni. Intendo a nord.

Piersilviogìn seguì lo sguardo dell'alleato e annuì. - Casin Khan e Boss Khan stanno arrivando.

- E' così, mio signore. Prepariamoci ad accoglierli.

La nuvola di polvere si ispessì, divenne più marcata, e alla fine prese i contorni di due formazioni di cavalieri al galoppo. Piersilviogìn distinse i vessilli bianchi dei cicydi di Casin Khan e le bandiere verdi dei padanji di Boss Khan. Ne fu indicibilmente soddisfatto: con quei due valorosi clan al suo fianco, nessuno avrebbe potuto batterlo. Sarebbe stato il condottiero più potente delle immense pianure che si stendono dal Bajkal al lago di Segrate.

- Benvenuti nella Yurta delle Libertà. - salutò i nuovi arrivati.

- Parliamoci chiaro. - fece Casin Khan, smontando da cavallo - Io voglio tre ministeri.

- Federalismo nomade o non se ne parla. - aggiunse Boss Khan.

- Ministero della Caccia, Ministero dei Cavalli e Ministero delle Razzie. - incalzò il primo.

- Una yurta-parlamento per i padanji. - rilanciò il secondo.

- Soprattutto il Ministero delle Razzie.

- E poi voglio un telegiornale tutto per me.

- E un conto in Svizzera.

- E le veline di Striscia.

- L'abbonamento allo stadio.

- Una giacca nuova.

- E anche...

- Li affetto con la scimitarra, mio imperatore? - sussurrò Fedehmil, ringhiando al limite dell'udibile.

- Ma no. - sussurrò in risposta Piersilviogìn - Promettiamogli qualunque cosa. Dopo che avremo vinto, vedremo quanto varrà la pena di mantenere...

- Siete grande, mio imperatore. - uggiolò Fedehmil, ammirato.

I quattro alleati si sedettero intorno al fuoco per una kurultai di guerra. Che poi sarebbe un meeting. Perché non ho detto "riunione", allora? Che domande! Col mazzo che mi sono fatto sui testi storici, ringraziate il cielo che questo romanzo non sia scritto interamente in mongolo coi sottotitoli in kanji!

Terminati i convenevoli, Piersilviogìn batté le mani. Fedehmil corse ai piedi del suo signore e cominciò a nettargli la punta degli stivali con tre metri e mezzo di lingua. Il Khan lo fissò disgustato.

- Volevo solo la pergamena col mio discorso, imbecille.