Cosa pensa del remake del suo film Le colline hanno gli occhi?

E’ diretto dal francese Alexandre Aja che mi ha detto di essere diventato un regista grazie proprio a quel film. Alex proviene da una famiglia di filmmakers. Il suo Alta tensione mi è piaciuto molto, a parte il finale che ho trovato deboleo. Le colline hanno gli occhi è stato il film che lo ha avvicinato al mondo del cinema all’età di 14 anni, quando lo vide insieme a un amico, oggi suo produttore. Tre settimane fa si sono concluse le riprese in Marocco. Tra qualche giorno sarò a Parigi per visionare il first cut. Da quello che ho visto ha trasformato la trama originale in maniera molto potente e personale. Adesso produrremo il suo prossimo film: The Waiting, che è una storia di fantasmi.

Perché non fa parte del progetto Masters of horror?

Perché stavo già lavorando quando mi è stato chiesto. Ero troppo impegnato e non riuscivo a liberarmi.

Lei ha dato vita a tante figure iconiche del genere horror. Come ci è riuscito?

Non saprei dirlo. E’ un po’ come tentare di prendere i fulmini con una bottiglia. Succede, ma non sempre. Non è qualcosa che puoi prevedere. Quando ho girato Sotto shock - Shocker pensavo che Horace Pinker sarebbe diventato popolare come Freddy Kruger cosa che non è avvenuta. Ci sono dei momenti in cui credi di avere dato vita a dei personaggi potenti, e invece ti sbagli. Altre volte, invece, sei sorpreso da come le persone reagiscono al tuo lavoro. Anche quando succede non sai proprio come spiegartelo. Il mio timore è che – svegliandomi un giorno – mi accorga di non essere più in grado di farlo. Sinceramente è una di quelle cose che non capisci del tutto come avvengano e perché…

Qual è la sua più grande paura?

Almeno il cinquanta per cento delle persone oggi non sono affatto contente di quello che sta diventando il nostro governo oggi. Sfortunatamente non indossano nemmeno delle maschere. Sono esattamente quello che mostrano essere. Nel mio cinema personalmente sono stato sempre interessato nell’affrontare il mito della famiglia americana felice e contenta dove tutti hanno successo. Credo che tutti i paesi indossino una maschera. Qualcuna è peggiore di altre come nel caso dell’America. Credo che sia ancora un grande paese, perché la maggior parte delle persone sono della brava gente. I suoi governanti no. La mia più grande paura? Beh, può scrivere che ha un nome e un cognome: George W. Bush. Grazie al cielo resterà lì solo per altri tre anni!

Cosa è cambiato dagli inizi per il suo cinema?

Sono invecchiato. Oggi comprendo meglio il mio lavoro e il metodo per lasciare il pubblico senza fiato nel vedere un mio film. Forse sono diventato un po’ più compassionevole e sofisticato. In Red Eye, per esempio, ero più interessato a mostrare la paura psicologica anziché quella fisica. Non è un film sul terrorismo o sugli aeroplani, ma riguarda la battaglia dei sessi, il confronto tra maschile e femminile. Credo che non avrei mai potuto fare un film del genere da giovane. Oggi comprendo tutto quanto meglio ad un livello sottile più psicologico. E’ stato un piacere fare un film del genere con un ritmo forte ed incalzante. Sono cambiato, perché forse sono più accomodante nei confronti della vita. Una delle ironie della mia vita è quella di essere cresciuto in una religione che vietasse alle persone di andare al cinema. Fino ai miei vent’anni non avevo mai visto un film e così ho molte lacune nella mia conoscenza del cinema che, poi, è diventato di fatto la mia vita.

Come è il suo rapporto con Hollywood, oggi?

<i>Cursed</i>
Cursed
E’ qualcosa che mi confonde sempre e mi lascia perplesso. Cursed è un film che è durato per due anni e mezzo. Abbiamo girato per undici settimane. Ci hanno fermato eppoi abbiamo riscritto la sceneggiatura per cinque mesi prima di tornare sul set. Abbiamo buttato tutto il girato via, senza un vero motivo. Siamo tornati sul set e – alla fine – la lavorazione è durata per tre anni! Tre anni della mia vita per una pellicola che – alla fine – ha guadagnato in tutto il mondo appena ventotto milioni di dollari. D’altra parte quando la DreamWorks mi ha chiesto di dirigere Red Eye ci ho messo solo cinque mesi e mezzo. Tutti erano contenti. Nessuno mi ha domandato nulla e – alla fine –erano molto soddisfatti. Oggi Hollywood è tormentata dalla combinazione di due cose molto pericolose. Da un lato gli Studios credono di essere tutti dei cineasti e quindi interferiscono continuamente nel processo creativo. D’altro canto gli Studios considerano il cinema solo ed esclusivamente come un business. Pensano solo a fare soldi perdendo di vista l’elemento creativo che – alla fine dei conti – è quello che porta le persone al cinema. Temono le cause degli avvocati e sono terrorizzati dal politicamente corretto.

In che senso?

L’Horror pur essendo un genere che fa guadagnare esplora direzione dove sarebbe meglio non dirigersi. L’Horror ha a che fare con cose che non sono di buon gusto e che non mettono a proprio agio i benpensanti e la destra conservatrice che oggi domina l’America. In un certo senso, quindi, il nostro lavoro è antitetico rispetto a quello che intendono fare le Corporations che governano il mondo del cinema tramite gli Studios. A noi viene chiesto di realizzare prodotti sicuri che facciano incassare, magari inventando qualcosa che possa essere facilmente duplicato da altri. Anche se uno si oppone a questa visione, questa è diventata l’ideologia dominante del mondo del cinema. Qualche tempo fa ho incontrato ad una riunione un rappresentante di un’associazione di consumatori cristiani. Mi ha guardato e mi ha detto: “Per me il cinema è un prodotto. Così come farei per una bibita o una merendina, se so che un suo film può danneggiare psicologicamente i miei figli io sono pronto a fare causa allo Studio che la distribuisce e a lei stesso. Lei non ha alcun diritto di fare del male ai miei bambini!” Questo è il pensiero dominante in America oggi. Si cerca di fare del cinema in grado di accontentare queste persone.