Quella notte rimasi seduto al capezzale di Ta’klu, che era moribonda. Dal giorno del dono ai Ripper non aveva più mangiato e alla fine la pesta aveva colpito anche lei. Fan se ne stava a testa china, dall’altra parte del letto. Il muro orientale della stanza di Ta’klu era formato soltanto da una serie di colonne attraverso cui ora soffiava un vento freddo. Da quella parte si vedevano le Guglie, tese l’una verso l’altra su uno sfondo di cielo stellato. Con uno sforzo doloroso a vedersi, lei si voltò a guardarle. - Muoio, il mio popolo muore, lasciando incompiuta la nostra opera più grande.
- Cosa sono le Guglie? – le chiesi. – Qual è il loro potere?
I suoi occhi non si staccarono dagli enormi archi, ma sorrise.
- Nessun potere, a parte quello di un simbolo. Tu conosci il potere dei simboli, vero Jarod?
Fan si fece il segno della croce e io annuii.
– I ma’pen’lache rappresentano una razza intera e la sua determinazione – sussurrò Ta’klu. – Un popolo completo, riunito in un credo, in un obiettivo nobile: riguadagnare la consapevolezza della forza vitale universale, una consapevolezza che abbiamo alla nascita ma presto dimentichiamo. In un attimo, essere parte di tutta la vita che esiste in ogni luogo. Essere una cosa sola con il creatore.
- E’ questa l’Illuminazione?
- Questo è ciò che sarebbe, una volta che tutto ciò che vive l’ha raggiunta. Ciò che ciascuno di noi ha raggiunto è il massimo a cui un individuo può aspirare, ma meno rispetto a una razza intera, e molto meno di quello che tutto ciò che vive può raggiungere insieme. Ogni volta che una persona che aveva raggiunto l’Illuminazione moriva, i ma’pen’lache crescevano.
- Cos’hai donato a Keys e i suoi uomini?
- Ciò che era in mio potere di donare. Esiste un corpo universale, una rete che unisce tutti gli esseri viventi attraverso lo spazio e il tempo. La vita non è la somma degli esseri viventi, ma la rete stessa. Non possiamo dire di conoscere la vita finché non riusciamo a vedere la rete, a sentire i fili che ci congiungono l’un l’altro, e a tutto il creato. Questa è l’Illuminazione.
– Gli hai fatto toccare la rete.
In quel momento si voltò a guardarmi. – Sì.
– E così hanno avuto consapevolezza della vita intorno a loro.
– E del loro posto sulla rete della vita, e della consapevolezza che la vita aveva di loro – concluse lei.
Stavo per dire che non capivo, ma all’improvviso le sue parole attinsero a una parte di me che sembrava essere nata proprio in quel momento.
La consapevolezza che la vita aveva di loro.
Lei mi leggeva nel pensiero.
- Sì, Jarrod. L’incontro più pericoloso è quello con uno specchio perfetto. Uno specchio che ci mostra come l’universo ci vede. Come siamo veramente.
Sprofondò ancor di più nei cuscini.
- La tua gente ha visto il posto che si era scelta sulla rete. Ha visto ogni vita strappata, ogni filo reciso. Hanno visto come erano considerati dalla vita stessa: come qualcosa di alieno, di scollegato dal corpo universale, come un cancro. Chiuse gli occhi. – E hanno visto la cura.
- Perchè mi hai protetto?
Un sorriso fiorì per un attimo sulle sue labbra.
- Tu conosci il tuo posto nella rete.
Al suo fianco, Fan annuì e mi guardò, sorridendo.
- Cosa vuoi dire?
- Resta una cosa da fare. Resti tu. I due devono diventare una cosa sola.
- Ta’klu, basta con gli indovinelli. Dimmi cosa devo fare – la pregai.
- Non posso. Devi trovare la strada da solo. E’ una parte del tuo compito.
- Ma sono un assassino, proprio come gli altri.
- Chi meglio può trovare la strada nell’oscurità di uno che ha vissuto nella notte?
- Non ne ho la forza.
Aprì gli occhi per l’ultima volta, per guardami.
- Ne hai più di quanto credi. Promettimi che ci proverai.
Inghiottii a vuoto, a malapena in grado di parlare, sentendo su di me lo sguardo rovente di Fan, che attendeva una risposta.
- Lo prometto – risposi a Ta’klu.
Lei sorrise, forse ricordando il giorno del nostro primo incontro.
- Può andare.
Morì alle prime luci del giorno, senza dire un’altra parola. Appoggiandole le mani sul petto, alzai gli occhi. Fan era in piedi vicino a una colonna e guardava il sole del mattino sorgere sotto il punto in cui le Guglie si tendevano l’una verso l’altra per toccarsi, per diventare una cosa sola.
Diventare una cosa sola.
I due devono diventare una cosa sola, aveva detto Ta’klu. Guardai il suo corpo e in quel momento seppi cosa dovevo fare.
La scalata sulle Guglie con Ta’klu è durata alcune ore. Su questo sentiero i Be’nan hanno trasportato i loro venerati Giudicati per secoli, aggiungendo un nuovo elemento alla struttura morte dopo morte, ma nessuno sarebbe mai salito da solo, come me.
All’inizio la salita era quasi verticale, su gradini fatti per gambe più lunge, gambe Be’nan.
Sento freddo e sono esausto, ma ogni volta che mi fermo a riposare, a bere un sorso dalla borraccia, Fan mi incita a proseguire, saltellando su e giù, indicando in avanti.
Ora, finalmente, mi sto avvicinando alla punta del dito. La salita si è livellata, ma l’ultima parte del viaggio è la più pericolosa. A più di trecento metri d’altezza il dito si assottiglia e i fianchi si fanno più ripidi. La luce va affievolendosi e non vedo bene dove metto i piedi. Un vento crescente fa ondeggiare le Guglie, minacciando di strapparmi via dal punto dove sono appollaiato. Geme tra i morti sotto di me, e ogni gemito è la voce di un fantasma che accusa, condanna.
Altri venti metri. Il vento è troppo forte. Appoggio a terra Ta’klu e striscio in avanti, trascinandomela dietro. Dieci metri. Si impiglia nelle fessure e sulle altre statue, e ogni volta devo tornare indietro per liberarla. Cinque metri. Tre. Riesco a vedere il luogo del suo eterno riposo. Mi sposto dietro di lei, per spingerla oltre gli ultimi pochi centimetri.
Raggiungiamo la vetta. Ora devo rimettermi in piedi, devo sollevarla usando le corde che la imbracano per posizionare i piedi sopra il punto esatto, con le braccia tese verso l’altra cima.
Lottando contro ogni ventata, la calo centimetro dopo centimetro verso il suo do’lach. Mi sforzo di vedere oltre il suo corpo, per vedere se le mani tese riusciranno a colmare il vuoto che divide le Guglie. Ta’klu si incastra, le gambe si uniscono perfettamente agli arti e al torso di coloro che sono partiti prima di lei, intrecciati come amanti. E le sue braccia sono tese verso l’altro lato, come in preghiera.
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