Laggiù giace Ves’wa, colui che aprì la strada ai Guardiani, dal luogo in cui gli antenati di Ta’klu li avevano banditi eoni fa, e dove erano tornati dopo la Battaglia del Tremendo Silenzio. Di là scorgo la bellezza distorta di Ne’sto, la cui passione per i propri amanti era uguagliata soltanto dalla passione per gli ornamenti ricavati dai loro corpi. Al suo fianco riposa Ke’bi, che danzava con gli Estinti nella Città senza Nome. E lì in una nicchia oscura, ancora più in disparte, c’è Det’syek, giudice il cui desiderio artistico aveva prevalso sull’obiettività nella scelta delle pose. Fan mi prega di andare via. Sospirando, mi alzo e riprendo il mio fardello. Esiste un’altra casta di Giudicati, l’equivalente Be’nan dei santi e dei buddha, coloro che raggiungono l’Illuminazione. I Be’nan riservano un posto speciale agli Illuminati.
Alzo gli occhi verso le Guglie.
Il giorno seguente, sorprendendo tutti, Keys interruppe la rilocazione dei Be’nan dalla città.
Mi convocò nella casa che avevamo confiscato, trasformandola nel Quartier Generale della RIP. La notizia della vera natura delle statue si era diffusa rapidamente tra i Ripper. Ora la stanchezza aveva preso il posto dell’arroganza, in loro, un senso di disagio amplificato dall’onnipresenza della sua fonte: a ogni angolo che svoltavamo, eravamo letteralmente circondati da statue.
Mentre raggiungevo a piedi gli alloggi degli ufficiali, notai diverse statue abbattute e fatte a pezzi. Fan si fermava davanti a ciascuna e la toccava, a testa bassa.
Trovai Keys in Sala Comando, una cupola ariosa al centro della città, sostenuta da archi rampanti e alleggerita da alte finestre. Camminava avanti e indietro intorno a una lastra di marmo trasformata in tavolo cartografico. Notai che qualcuno aveva rimosso le due statue che in origine stavano sulla lastra.
– Hai interrotto la riloc – gli dissi, sentendo su di me lo sguardo bruciante di Fan.
Rilocazione. Nonostante tutte le missioni RIP a cui avevo partecipato, nonostante tutto quello che avevo visto, ancora non riuscivo a chiamarla col suo vero nome.
Keys si fermò e mi inchiodò con un’occhiata.
– Ho parlato con un capoccia degli IP. Della casta religiosa, o qualcosa del genere.
– Parlato, signore? – domandai. Vicino a me, Fan si fece immobile all’improvviso.
– Sì, parlato. Proprio come stiamo facendo adesso io e lei.
Rimasi sbigottito.
Non avevamo avuto nessun contatto precedente con questa particolare cultura, e avevamo stimato almeno un anno di tempo per imparare la loro lingua.
– Quelli delle Comunicazioni hanno fatto grandi progressi – dissi alla fine.
Keys grugnì.
– Quegli imbecilli? Figuriamoci. Sarebbero ancora a indicare figure olografiche e costruire diagrammi sintattici. – Scosse la testa. – Sono stati gli IP. Ieri questa tizia – almeno, penso che si tratti di una femmina – insomma, questa tizia che si fa chiamare Tatu, o Taku o una cosa del genere, entra in questa stanza e all’improvviso si mette a blaterare, come se niente fosse. In un perfetto inglese standard della Entity.
Si lasciò cadere su una sedia a fianco al tavolo cartografico e mi indicò l’altra.
Mi sedetti e Fan si raggomitolò sul pavimento.
– Che cosa voleva?
– Dopo i fatti di ieri, gli uomini hanno iniziato a fare a pezzi quegli... affari – rispose. Sapevo che si riferiva alle statue. – Ci ha chiesto di farli smettere.
– E’ la prima volta che reagiscono a qualcosa che facciamo. Che cosa le avete risposto, signore?
– Ho accettato. Ho ordinato agli uomini di smetterla subito.
La mia espressione dovette tradire la sorpresa: i colonnelli della RIP, infatti, non chiedevano consigli agli IP, ne li accettavano. Keys sporse in avanti, verso di me.
– Capitano, quella tizia non conosce solo la nostra lingua... conosce anche lo slang. Ci ha chiamato Rippers, ha parlato di IP, di pistole Tanzer, dei LASher.
Esitai.
– Può darsi che sia un effetto collaterale di come hanno imparato la lingua. Di certo registrano le nostre conversazioni e poi le analizzano con sofisticati algoritmi di pattern recognition e intelligenze artificiali di contesto.
– Sapeva che siamo qui per il berkelio.
– Forse gli uomini ne hanno parlato tra loro.
– Ha citato il nostro codice di progetto MCE. Io e lei siamo gli unici a conoscerlo.
Quell’affermazione mi fece ammutolire per un attimo.
– E se si fossero infiltrati negli archivi della nave?
– C’è di più. Sapeva certi particolari sul mio conto che non figurano negli archivi. Eventi di quando ero bambino. Piccole cose, curiosità, niente che avrei mai raccontato a qualcuno della RIP.
Ancora una volta fui pervaso da una sensazione di isolamento e solitudine, la stessa che mi aveva colto quando avevo visto le Guglie per la prima volta. A un tratto mi sentii nudo, esposto alla realtà di quel mondo alieno.
– Telepatia, forse?
Scosse il capo ancora una volta.
– Neppure io ricordavo quegli eventi, prima che lei ne parlasse. Quindi ho pensato che la cosa migliore da fare fosse accogliere la sua richiesta, almeno finché non ne sappiamo di più. – Mi fissò.
– E qui entra in gioco lei.
– Io, signore? – risposi, mentre le orecchie di Fan già si drizzavano.
– Voglio che lei sia il nostro ufficiale di collegamento con gli IP di questo pianeta, tramite quella tizia. Scopra quello che può su di loro, cos’altro sanno di noi. E, per dio, scopra come fanno a saperlo.
– Perchè io, signore?
Keys aggrottò la fronte.
– Lei è il mio comandante in seconda e l’addetto alla sicurezza.
Fan scosse il capo. Keys gli stava nascondendo qualcosa. Inghiottii a vuoto.
– Se vuole che faccia bene il mio lavoro, signore, deve dirmi tutto quello che sa.
Keys mi rivolse uno sguardo ostile, stringendo e rilasciando i pugni proprio come aveva fatto il giorno prima, poco prima di puntare la pistola contro il braccio della statua, lungo la strada.
– Va bene, capitano. La tizia ha chiesto di lei. Ha fatto il suo nome.
Le piante rampicanti ora ricoprono queste strade silenziose.
Si aprono davanti a me mentre avanzo, mostrandomi la via anche se non servirebbe, perchè la mia meta incombe alta e luminosa sopra di me. I rampicanti sanno chi trasporto.
Passiamo davanti a numerosi Giudicati abbattuti dai Ripper. Sono tornate in piedi, risorte, risollevate dai rampicanti, braccia spezzate tenute a posto da spire verdeazzurre, ferite sbrecciate nascoste dietro veli di foglie.
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