– Manda una squadra a controllare quegli affari. Sai di cosa sono fatti? – Dal tono capii che non si aspettava una risposta. Indicò col pollice una delle statue. – Di quelle cose lì. Non è incredibile? Hanno costruito quei dannati archi con le statue. A una a una, incastrate come un puzzle gigantesco. Continuò a camminare. Fissai le Guglie, cercando di immaginare quante statue fossero servite per costruire quelle enormi dita tese verso il cielo. Centinaia di migliaia, forse milioni, ciascuna scolpita in modo da incastrarsi in quelle sottostanti, per salire lentamente verso il cielo, cercando di toccarsi. Quante generazioni or sono era iniziata la costruzione? E per quale motivo? All’improvviso, quella domanda divenne importante, come se una risposta avesse potuto spiegare perchè mi sentivo così lontano dalla RIP, così scollegato. Come se lo spazio tra quelle punte fosse la distanza che mi separava dal mondo circostante. Proprio in quel momento il sole raggiunse la cima delle Guglie, annullando l’ombra in cui mi ero fermato. Al mio fianco, Fan fissò gli archi con espressione triste eppure piena di pace. Poi annuì.
Tratta fuori dalla vasca, Ta’klu si è indurita nella posa che le ho dato. Il liquido ne ha saturato il corpo, mummificandolo e rinchiudendo il suo cadavere in un guscio durissimo e ultraleggero. E’ ancora una volta davanti a me, ma ora è una be’nan’ti, una Giudicata. Lucido la sua superficie bianca con creme balsamiche cerimoniali fino a che non splende. Ha il viso rivolto al cielo, gli occhi celati dietro il guscio bianco. Fan indietreggia.
Sì, Fan, ora l’abbiamo persa davvero.
Fino a quando il suo corpo conservava lo stesso aspetto di quando era in vita, in qualche modo era ancora con noi. Ora è diventata un oggetto.
Solo l’obbligo che sento verso di lei resta.
Mi organizzo per trasportarla fino al luogo del suo eterno riposo. Anche se quando era viva era più alta di me di una testa, in questa posa la sua statura è inferiore, in modo che possa portarla fin lassù. Sorrido. Di statura inferiore a me? Solo dal punto di vista fisico, di certo.
Dopo averle legato due corde alle braccia, mi giro di spalle e allungo le mani per afferrarle. Mi chino in avanti, tirandole per issarmela sulla schiena. E’ pesante. La isso più in alto, finché i piedi si staccano da terra giusto il tanto da consentirmi di camminare quasi eretto. Varco la soglia con lei sulla schiena, come la mia croce, ed esco nelle strade silenziose dove Fan mi attende già.
Io e Keys esplorammo gran parte della città Be’nan, quel primo giorno. Fan ci seguiva da lontano, mantenendosi a distanza da Keys. Keys rimase per lo più in silenzio. Sapevo che la reazione dei Be’nan alla nostra presenza, o piuttosto la loro totale assenza di reazione, lo aveva innervosito. Frugava con lo sguardo tutti gli angoli che passavamo, come se si aspettasse l’inizio di una tardiva rivolta.
Svoltammo in una strada secondaria.
E ci fermammo.
Lungo i lati si levavano dal terreno braccia scolpite, intrecciate e contorte verso l’alto come serpenti congelati. Le mani strette a pugno, le unghie come artigli tesi ad afferrare qualcosa, qualsiasi cosa potesse strapparli da un inferno invisibile. Anche questa strada era bordata di statue, proprio come le altre in città, ma qui le statue volgevano le spalle alla foresta di braccia supplicanti.
Incapace di seguirci, Fan sbirciava la scena da dietro una colonna.
Io e Keys percorremmo lentamente quello strano viale, tracciando un sentiero tra le braccia tese. In mezzo a ciascun paio di braccia vi era scolpito un viso rivolto verso il cielo, che fuoriusciva dal pavimento giusto il tanto da essere visibile.
Forse fu il silenzio o l’indifferenza dei Be’nan verso la nostra potenza... o l’espressione su quei visi. Qualunque fosse la ragione, all’improvviso Keys allungò un calcio a un braccio.
Malgrado l’aspetto delicato della scultura, il colpo non sortì alcun effetto, tolta l’espressione di dolore che fiorì sulla faccia del colonnello e il lamentoso rintocco come di campana che echeggiò lungo la stretta via. Keys rimase lì, in silenzio, aprendo e stringendo i pugni in modo convulso. Poi estrasse la pistola Tanzer e sparò sul braccio un sottile raggio d’energia. Il braccio si accese di un blu brillante, irradiando calore. Keys rinfoderò la pistola e assestò un secondo calcio al braccio.
Questa volta si spezzò con uno schiocco. Lo raccolse, fissando l’estremità spezzata. Lo sentii mormorare: – Mio Dio.
Poi mi fece cenno di avvicinarmi. – Capitano, dia un’occhiata a questo.
Mi porse il braccio spezzato e ne osservai l’estremità. Mi aspettavo un materiale solido e invece sembrava che il rivestimento bianco del braccio fosse soltanto un guscio.
Fissai ciò che vi era all’interno.
Anche se la fisiologia Be’nan era diversa dalla nostra in molti aspetti, nella RIP avevo visto un numero sufficiente di cadaveri per capire si trattava di ossa e carne mummificata.
Ho trasportato Ta’klu lungo le strade della città vuota solo per un breve tratto e già inizio a sentirmi stanco. La appoggio sul pavimento e mi accascio contro di lei, riposandomi un momento tra le braccia sollevate e intrecciate, qui su una mephi’cou, una Strada degli Infimi. Fan mi si attacca alle gambe, spaventata dalla malvagità di questo luogo.
In altre parti della città, i Giudicati stanno in una li’do’aran, una posa di purezza, collocati in modo che i passanti devono alzare lo sguardo per guardarli. Sono la maggioranza: né santi né demoni, solo brave persone. Noi umani possiamo dire lo stesso della nostra razza?
Fan scuote il capo.
Nelle Strade degli Infimi, invece, veniva sepolto chi era giudicato impuro, chi - dopo una nascita sul sentiero dell’Illuminazione - era regredito da essa. Erano tutt’uno con il fondo stradale, sepolti sotto i piedi della gente, la gran parte del corpo nascosta.
Quel tipo di giudizio non veniva emesso con leggerezza. Ogni Be’nan che lo faceva, infatti, dopo la morte riposava anch’egli lungo la stessa Strada, con le spalle rivolte agli Infimi, a simboleggiare che i Be’nan rinnegavano l’esistenza di chi vi era sepolto.
Conosco ogni viso, ogni storia.
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