Tristemente vero, dottor Anderson, desolatamente vero. Abituato a fruire dei servizi offerti dalla tecnologia moderna, di cui dispone in infinità comodità e facilità d'uso, l'uomo della strada ha imparato a non meravigliarsi più di nulla, ad accettare ogni prodigio senza porsi domande, a gustare i frutti di una cultura, quella scientifica, accettata così come si accetta un ricatto; egli ha imparato a non chiedersi mai cosa ci sia dietro gli strumenti che sempre più numerosi affollano le sue giornate e la sua vita, come un gatto che accetta che il suo cibo esca da una scatola senza preoccuparsi di capire come abbia fatto ad entrarvi.
I sondaggi i cui risultati lei riporta nell'articolo, d'altra parte, sono inequivocabili. Continuo a citarla: "...nella cultura collettiva congegni come telefoni, orologi, lavatrici, motori d'auto o computer sono oggi visti quasi nello stesso modo: scatole nere sapienti, che funzionano grazie ad alchimìe incomprensibili, grazie a regole non misteriose (chè il mistero implicherebbe fascino, e dunque interesse) ma semplicemente inconoscibili, e dunque accettate per consuetudine ed inerzia. Conseguenza di questo disinteresse, la nostra civiltà, il nostro vivere quotidiano, poggiano oggi su basi fragili come il cristallo: è sufficiente un singolo guasto, il semplice blocco di un ingranaggio a mandare in pezzi le delicate regole del gioco."
Non c'è bisogno di ricordare gli scoppi di violenza ed i saccheggi bestiali che si scatenano nelle nostre città in concomitanza dei black-out per darle ragione: a volte mi viene da pensare che a separare e proteggere la nostra civiltà dalla barbarie più assoluta ci sia solo qualche kilowatt. Forse anche meno.
Fin qui le nostre due analisi procedono allineate, dottor Anderson. E' nella visione finale che esse differiscono notevolmente: lei dipinge nel suo articolo una situazione aberrante, malsana, ma tutto sommato più grottesca che pericolosa, una situazione di cui sorridere bonariamente, magari da sferzare con i toni della satira sociale, ma nulla più.
Io sono ben più pessimista. Io noto il deciso allontanarsi delle masse dal pensiero razionale, e ne provo angoscia; scorgo con disagio il ridursi dell'interesse per la scienza (e, nel mio piccolo, il ridursi del numero dei lettori di "Nature"), e l'aumentare invece dell'interesse per fenomeni irrazionali quali l'occultismo, l'alchimia, la stregoneria e la superstizione in tutte le forme. La vicenda di Fishman e Lonz non mi fa sorridere, dottor Anderson: mi terrorizza. Quando uno dei grandi azionisti della rivista arriva a propormi l'introduzione di una rubrica di astrologia su "Nature", coll'argomentazione che ormai la gente dei giornali legge solo l'Oroscopo, ed il resto lo usa per pulire i vetri (le giuro che la proposta è avvenuta proprio in questi termini)... Ecco, io comincio a pensare che il mondo abbia imboccato una strada pericolosa.
Mi creda, dottor Anderson... noi viviamo e scriviamo con le nostre azioni le cronache di un medioevo prossimo venturo, un'epoca buia annunciata, di cui vediamo avvicinarsi le prime ombre. Esse si addensano, e si fanno ogni giorno più buie: prima o poi ci ricopriranno. Ci sono soltanto pochi kilowatt tra noi e la barbarie. Forse ancor meno.
Con preoccupazione per l'avvenire.
Rachel D. Jones
Segretaria Editoriale
Redazione di "Nature"
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