In questi giorni mi sono avvicinato con curiosità e, non lo nego, un po' di trepidazione, come se mi trovassi ogni volta di fronte a una nuova sfida da affrontare, ad alcuni lavori di fantascienza scritti da autori italiani. Un paio di antologie, qualche romanzo, racconti sparsi su riviste varie.
E subito mi sono trovato di fronte a un tipo di fantascienza energico, vitale, moderno e lanciato senza eccessi, ma con puntuale professionalità, verso le mille delineazioni possibili del futuro e della caratterizzazione dall'universo uomo all'interno dei mutamenti e delle sovversioni che la società e i concetti stessi di tempo e di spazio potrebbero subire da qui a dieci, cento, mille anni e forse più.
Una serie di racconti e romanzi davero stimolanti, sempre sorretti da stili differenti eppure colorati dalla stessa patina di rigorosità oggettiva e di pulizia lineare che ne fanno una sarabanda di specchi in grado di rimandare immagini completamente differenti ma sempre contenute in rigide cornici di alta scrittura, il tentativo di uscire dallo stereotipo e dalla ghettizzazione in cui arranca la letteratura del fantastico, affiancando ai guizzi dell'immaginazione i toni per nulla deficitari di una prosa di altissimo livello.
Ho incontrato tutto questo e ne sono rimasto entusiasta, convincendomi ancora una volta che la sfida con la narrativa anglosassone si possa portare avanti e non la si debba necessariamente perdere, anche se la pronuncia di un nome americano stimola quasi sempre un'attrattiva superiore a quella di qualunque firma di un nostro connazionale, vuoi per l'innato esterofilismo dei nostri lettori (ma questo genere di male riguarda anche la musica, le automobili, le vacanze, è una serpe che striscia e morsica qualunque forma di sano nazionalismo solo per il gusto di distinguersi), vuoi per un background culturale che ha sempre messo in risalto la letteratura d'oltreoceano (almeno in questo specifico campo) rispetto a quella nazionale.
Ma c'è un elemento, per quanto secondario, che può stupire al termine di questa mia indagine. Ovverosia le date apposte in calce a queste antologie e a questi romanzi che ho letto tutti d'un fiato e che non ho fatto alcuna fatica a collocare nel mio personale arco temporale di giudizio -- quello che ha plasmato la mia base culturale in ambito fantascientifico e si è alimentato dei vertiginosi progessi della scienza, dunque un'età incapace di stupirsi di qualcosa che non abbia la freschezza e la solidità di un pensiero profondamente moderno.
Una di queste antologie, Destinazione Uomo, edita dalla casa editrice La Tribuna in Galassia ndeg. 113, è del 1deg. marzo 1970. L'altra, Amore a quattro dimensioni, è comparsa esattamente un anno dopo, sempre a cura di un terzetto di curatori d'eccezione: Vittorio Curtoni, Gianfranco De Turris e Gianni Montanari.
I romanzi, come età, non sono da meno: Autocrisi di Piero Prosperi del settembre 1971 e addirittura Satana dei miracoli di Ugo Malaguti, del settembre del '66. Se non sto parlando di preistoria, certamente vent'anni e più sono parecchi, per un lettore del mio stampo che ha cominciato a mangiare da solo e a muovere i primi traballanti passi quando Malaguti sedeva alla macchina per scrivere con l'intento di imprimere sulla carta le invenzioni del suo linguaggio.
Autocrisi è un piccolo capolavoro che io considero attualissimo e che non vedrei male ristampato oggi presso qualche grosso editore, forse meglio senza etichette di alcun genere, con la sua lieve patina retrò che ne farebbe un libro adatto alla sterminata legione di lettori che hanno inneggiato libri come Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta o I sotterranei di Kerouac (per non parlare di tutta la roba scritta dal vulcano Bukowski).
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