1. Il default della fantascienza
Come si fa a parlare di fantascienza senza parlare di Isaac Asimov? Nel bene o nel male, come hanno scritto Clute e Edwards nella Encyclopaedia of Science Fiction, la voce di Asimov è stata per cinquant'anni il riferimento di default di tutto il genere. Ricordarci di Asimov significa provare ad avvicinarci alla SF senza snobismo e con rispetto per la sua storia.
L'origine familiare di Asimov è tutt'altro che benestante. Con i suoi genitori era emigrato per sfuggire ai pogrom che si stavano diffondendo nell'URSS dove era nato nel 1920, giungendo negli Stati Uniti nel 1923 e diventando cittadino americano nel 1928. La sua biografia, come Asimov stesso ce l'ha presentata più e più volte, è legata alla sua scrittura. C'è il servizio militare nella Marina, gli studi di chimica e la cattedra di biochimica alla facoltà di medicina della Boston University (dove insegna dal 1949 al 1958), e soprattutto c'è l'attività di autore: decine e decine di volumi di saggistica divulgativa (e la popolarissima rubrica scientifica su The Magazine of Fantasy & Science Fiction, 399 ininterrotte columns dal novembre 1958 fino al 1991) e poi gialli e umorismo. Ma ad avvicinarlo e legarlo alla scrittura è, e resterà sempre, la fantascienza: un legame sempre rivendicato, una identificazione sentimentale prima ancora che professionale.
La piccola pasticceria del padre è innanzitutto il luogo dove scopre il fascino dei pulp di fantascienza. Da lettore, Asimov diventa fan, ed entra in contatto col gruppo newyorkese dei 'Futurians' - che comprendeva futuri professionisti come Frederik Pohl, Damon Knight e altri - restando sempre in rapporti cordiali con figure "rivali" come Sam Moskowitz. Anche in questa sua volontà di accettazione sta la chiave del successo di questo outsider (anche per origine sociale, religiosa ed etnica).
Il primo pulp a pubblicarlo è Amazing, nel 1939, con Marooned off Vesta, ma sarà l'uscita di un racconto su Astounding (Trends, lo stesso anno) a dargli quel senso di soddisfazione che lo convince a insistere sulla strada della SF. Col direttore di Astounding, John W. Campbell nasce ben presto un rapporto preferenziale di collaborazione. E' Campbell a suggerirgli il concetto delle Tre Leggi della Robotica, e tutti i racconti di Io, Robot saranno pubblicati da lui.
2. Noi, robot
Prima del 1940, c'erano stati gli automi letterari di Hoffman, Melville, Poe, Bierce, Villiers, esseri artificiali come la creatura del Frankenstein di Mary Shelley. Negli anni Venti è immediato l'impatto dell'immagine dei lavoratori sintetici di RUR di Karel Capek. Senza etichette di genere, forse il primo romanzo anglofono a farvi riferimento è un thriller che tocca il tema del controllo mentale, The Master of the Microbe (1926), del canadese Robert W. Service. Ma sono gli autori pulp a fare esperimenti sul robot come immagine narrativa: fra gli altri David H. Keller, Harl Vincent, Lester Del Rey, e soprattutto Eando Binder.
Solitamente, queste erano storie sulla costruzione di docili strumenti, o su una creazione che si rivolta contro il suo creatore. Con Asimov (in parte un'eccezione erano stati i fratelli Binder), l'essere artificiale acquisisce una sua autonomia. Per la prima volta, il robot è un essere sullo stesso piano degli umani, che va conosciuto e affrontato sullo stesso piano, non più semplice oggetto da manipolare o mostro aggressore da cancellare.
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