Poi ho sentito il rumore. Il rombo di molte motociclette, e quelle risate alte, da ragazze. Ho preso Ahmed per il braccio e l'ho trascinato via. Non volevo incontrarle. Loro... Le chiamano le Ragazze della Notte. Non so chi siano. Si portano via i morti, mai però i morti della polizia... chissà perché, chissà se li seppelliscono.
Ho immaginato Max, magro e biondo, tra le braccia di una ragazza in moto, sistemato davanti perché il corpo non scivoli, abbandonato come un uomo che dorme, un amante.
Di solito non ho paura, nemmeno di notte in queste stanze vuote, quando posso più scrivere - e non posso dormire. Cerco di individuare, nonostante le insegne spente, i posti che conosco, i locali dove si ascoltava musica, i cinema. Ma ieri notte mi sono spaventato. C'era una luce al neon molto forte, forse un'insegna, di quell'azzurro intenso e quasi violetto che hanno spesso i neon, ed emanava un alone spettrale tutto intorno. Si riconoscevano con chiarezza i palazzi barocchi smangiati dalle bombe. Ieri notte non c'era, ne sono sicuro.
Mi è parso anche di sentire musica - un buon rock, mi sembrava. Credo però che si trattasse della mia immaginazione o di un'associazione di idee: infatti il palazzo era quello dove c'erano gli studi di incisione della Hansa.
Ahmed è morto questo pomeriggio. Forse resterò ancora in questa casa, quindi devo far qualcosa del corpo. Mi dispiace dover ridurre la morte a una cosa così... pratica. Ahmed era un buon compagno.
Dopotutto era semplice. E' che mi fanno paura, o peggio ancora mi attraggono. Ho aspettato che venisse notte bevendo un paio di lattine di birra. La birra tiepida, a stomaco vuoto, mi dava nausea. Ho preso Ahmed in braccio: sono grande e grosso, e il corpo pesava poco. Aveva un'espressione tranquilla, gentile. Le ciglia lunghe e fitte come quelle di una ragazza.
L'ho portato giù e l'ho messo disteso, sulla soglia. Mi ero dimenticato della polizia. Ho aspettato.
Sono arrivate presto, come se fiutassero l'odore della morte. Erano sei o sette. Sembrano tutte molto giovani, ma lo si capisce più dal modo in cui ridono e parlano insieme tra loro che dalla faccia, truccata come una maschera. Occhi segnati in nero o blu, labbra esageratamente rosse, i capelli come criniere corte e irte, a ciocche irregolari. Portano vestiti provocanti o vecchi pantaloni, con strass e cuoio, roba che luccica. Una ha addosso la giacca di Max. Le loro facce pallide emergono dalla notte come illuminate da un flash. Sulle moto si riflette il neon blu della Hansa.
Prendono il corpo di Ahmed come si riceve un omaggio dovuto, senza guardarmi. Una sola, inforcando la moto, mi fa un lento, pensoso cenno di saluto.
La polizia è tornata da queste parti. Ho sentito le sirene, poi colpi di pistola. All'inizio, cercavano di convincerci a consegnarsi spontaneamente per essere internati, e dicevano che con quelli che resistevano usavano gas narcotizzanti. Ma se sei armato - o se solo hai l'aria di esserlo - ti sparano.
Mi sono arrischiato a guardare dalla finestra. Portavano via uno con la faccia tutta insanguinata. La luce di un faro ha percorso a ventaglio la strada, indugiando su portoni e finestre. Mi sono buttato a terra, mentre il fascio di luce frugava la stanza vuota e passava oltre. La strada è tornata buia, ho sentito le auto che ripartivano. Mi sono tirato in ginocchio e senza sapere quello che facevo ho preso la pistola e l'ho puntata verso le macchine che si allontanavano, appoggiandomi con i gomiti al davanzale e tenendola con tutte e due le mani perché tremavo forte. Non ho sparato.
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