Scrivo in una specie di utopia tascabile, un'isoletta di calma in un universo impazzito. Forse mi aiuterà a far sembrare più plausibile il futuro che mi aspetta-forse [...] lo farà perfino sembrare possibile. Ma non può esistere un'utopia tascabile. [...]Non può esistere un'utopia tascabile. Pensate all'aristocrazia francese prima della rivoluzione. Ben pasciuta, ben vestita, ben alloggiata, ben istruita-vite brillanti. Si potrebbe dire che vivevano in un'utopia tutta per loro. [...]
Ma ora il mondo è un'economia unica. Villaggio globale, made in Tailandia! E stiamo in isolette lussuose, mentre gli altri-grandi oceani di miseria abietta, guerre aspre, fame infinita. E diciamo che non sono affari nostri. Abbiamo la nostra isola. (tr. mia)
La differenza fra queste distopie e quelle degli anni Cinquanta è proprio l'aver superato l'immagine di una società monolitica, nel bene (la tradizione) o nel male (lo Stato oppressivo). Se la società è qualcosa di complesso, allora una speranza rimane sempre.
E allora The Telling è importante perché rimette insieme tutte queste tradizioni: la distopia classica (lo Stato diventato regime ermeticamente chiuso, la distruzione del sapere scritto) e quella che è stata chiamata "distopia critica" (Tom Moylan) o "fallibile" (Suvin), che ritiene incancellabile il conflitto col principio di libertà individuale e collettiva. Come dice il motto dell'"Ecumene", la rete interstellare fra civiltà aliene che è al centro di tutta la SF di Ursula Le Guin, è una questione di "responsabilità".
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