Ha ragione quel mio amico editore francese: leggere un libro influenza troppo nel giudicarlo, per poter essere oggettivi bisogna non averlo mai letto.
Lo stesso vale, naturalmente, per molte altre cose, tra cui il cinema: moltitudini hanno saputo giudicare infallibilmente Matrix Revolutions come una ciofeca, basandosi sullo sfinimento provato nell'assistere alle interminabili avventure auto-motociclistiche del precedente Matrix Reloaded, e conseguentemente decidendo che non fosse il caso di andarlo a vedere, mentre la sottoscritta, ahimè vittima del suo bisogno atavico di completezza, non ha potuto esimersi dal catapultarsi al cinema il giorno della prima e non solo non l'ha trovato affatto male ma si è financo divertita!
E lo stesso dicasi per Minority Report: il mio giudizio assolutamente oggettivo, inconfutabile e definitivo prima della visione del film era che non valesse la pena di perderci del tempo. Ma quale demonio allora mi ha convinta a noleggiare quel dvd una solitaria sera di mezz'estate?
Sì, mi è piaciuto. Oh, certo, non un capolavoro: almeno, questo dice chi se ne intende, e io non ho motivo di confutare cotanti intenditori, per quanto, nella mia limitatezza, non riesca a scorgere dei difetti, forse annidati nella seconda parte della pellicola, che ho potuto seguire solo a singhiozzo, causa esaurimento della pazienza (e probabilmente anche della memoria) del mio notebook, evidentemente meno influenzato di me nel giudizio dalla visione del film. Ma ho apprezzato. E in particolare ho apprezzato l'idea della lettura dell'iride quale strumento di controllo al tempo stesso a servizio delle forze dell'ordine, e quindi del potere politico, e degli aggeggi che personalizzano la pubblicità chiamando il malcapitato per nome, e quindi del potere economico, in un connubio che evidentemente già esiste, ma di cui si parla forse anche troppo a livello nazionale (vedi Mister Bandana) senza rendersi conto che gli stessi meccanismi funzionano a tutti i livelli, micro e macro. Insomma, per dirla con le parole del poeta Benigni, "E' tutto un magna magna". Con tutte le ben note ricadute sulla nostra vita privata di ogni giorno: come il computer di mio fratello, emanatore indefesso di flatulenze informatiche dagli arcani nomi di adware, spyware, trojan horse, backdoor e via discorrendo.
Ok, è vero, le stesse cose, in modo diverso, le avevano dette, 51 anni fa, Pohl e Kornbluth nei Mercanti dello spazio, che è bene ricordare, perché probabilmente non hanno vinto il Retro Hugo del '53 solo perché hanno avuto la sfiga di pubblicare quel libro lo stesso anno di Fahrenheit 451, che se quel titolo lì è tornato di moda di recente, una ragione ci sarà pure. A proposito, nel momento in cui stendo queste deliranti righe non ho ancora visto il film di Michael Moore, quindi posso ancora giudicarlo oggettivamente senza essere influenzata dalla visione del suddetto, e pertanto legittimamente sentenzio: un capolavoro. Se l'avete visto, non provate a farmi cambiare idea: siete sotto il malefico influsso della visione del film. Se non l'avete ancora visto, e siete convinti del contrario, se ne può discutere.
Dicevo: stesse cose dette da Pohl e Kornbluth mezzo secolo fa, i quali però non avevano tenuto conto (forse non potevano ancora tenere conto) di un elemento di cui invece tiene conto Minority Report (e, per inciso, anche Fahrenheit 451, anche se in un'altra chiave), e che ci sta un po' stressando a tutti i maroni: l'ossessione della sicurezza.
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