Parlava certamente della foca monaca, ormai estinta da centinaia d'anni da queste parti. Ma mi venne chiaro in mente un passo di tale Orbinus, che nel 1600 narrava di averne appunto veduta una a Pesaro che pareva intendesse ciò che il padrone gli ordinava di fare. Non erano forse le stesse foche che un tempo popolavano quelle spiagge? Se i suoi ricordi erano così lontani non c'era dubbio che questa creatura fosse antica. E che volesse lasciarsi morire, forse. Era stanca di vivere, come i vecchi gatti, a consumarsi d'inedia sotto il cespuglio che loro avevano scelto.
Letizia ripeté, con più forza questa volta:
- Non possiamo fare proprio niente per te? - Poi si alzò e prese a svuotare rapidamente lo zaino. Lo riempì d'acqua di mare e bagnò più volte la pelle del grande corpo disteso dicendo tra sè: - Soffrono di disidratazione. Hanno una pelle molto delicata se si secca. Non possono restare asciutti. Come i delfini.
Aveva rovesciato su di lui alcuni zaini d'acqua. L'uomo pesce sembrò gradire quel bagno gelato, si girò un po' sul fianco e sembrò riprendere vigore, come volesse sollevarsi.
Grazie, gentile ragazza gentile. Ma non serve più. - E s'interruppe.
Io continuai ad osservarlo con interesse e stupore: aveva il muso un po' appuntito e gli occhi tondi come quelli di un grande tonno, velati e senza palpebre. Il suo volto, se così si poteva chiamare, non trasmetteva emozioni ("ovvio, senza muscoli mimici", pensai). Guardava lontano ma forse senza vedere. C'era il mare di fronte a lui e vedeva l'oceano.
Ma dopo qualche attimo il fruscio rombante della sua voce riprese. Veniva da lontano, come se non potesse smettere di ricordare o volesse lasciarci qualcosa di lui
Ho viaggiato per tutti gli oceani e, un tempo, ho coltivato l'amicizia delle isole vaganti, quelle dove i vostri naviganti attraccavano fiduciosi ma che al calore del piccolo fuoco che essi sempre accendevano per scaldarsi s'inabissavano furiose. Leviatani, bestie immense e inscrutabili. Isole solitarie perpetuamente immerse noi loro sogni antichi. Ma io ho chiamato le isole vaganti con il canto del minuscolo pesce al-Sàkil che sarei pronto a donarvi se ancora ce ne fosse qualcuna che risponde al suo richiamo. Nel respiro del tempo le grandi isole sono morte una ad una e, marcendo, sono sprofondate per l'ultima volta negli abissi. Ricordo le loro cupole lontane. In certi luoghi punteggiavano l'oceano e splendevano dorate. Come greggi di arcipelaghi tropicali. Avevano un odore gentile, di alghe ed erba. Per mesi stavano immobili, per anni. Si lasciavano portare dalle correnti e, con affaticata lentezza, ondulavano la loro pinna immane. Sul loro dorso correvano i granchi e s'innalzavano piante salmastre. Dicevano di aver conosciuto l'alba del mondo e narravano storie interminabili. Alcune giocavano a ingannare i naviganti e, quando un vostro vascello si avvicinava, con un colpo di coda si allontanavano e gli uomini vedevano piante, sorgenti, una terra per riposare e dissetarsi... ma esse fuggivano come miraggi. Lontano, il loro capo scaglioso si alzava e sovrastava l'oceano come una montagna a guardia dell'isola. Amavano al-Sàkil, un piccolo pesce dalla voce melodiosa che con il suo canto le affascinava, e così esse, ammaliate, restavano immobili, gli uomini potevano sbarcare, dissetarsi alla dolcezza delle loro fonti e cogliere la loro frutta profumata. Il loro carapace di testuggine cosmica si ergeva immenso nell'acqua blu ed erano gli ultimi testimoni di ere davvero antiche. Sono secoli che non ne incontro, certo ora riposano in qualche abisso...
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