Il Maglev, un modello obsoleto degli anni venti del millennio su una linea interregionale a scarsa manutenzione, scivolava leggero e silenzioso avvolgendo la rotaia alla prudenziale velocità di 250 chilometri orari. Il paesaggio della campagna incolta sembrava scorrere all'impazzata nella direzione opposta. Ogni volta, per la velocità e l'ovattato silenzio che comprimeva le orecchie, gli sembrava che fossero gli alberi e le colline a fuggire davanti al treno fermo. Come le immagini che vedeva da bambino giocando col casco virtuale. Ma i giochi erano finiti da tempo.
Le rovine della vecchia centrale atomica, da decenni in disuso, gli si confusero quasi davanti agli occhi nell'improvviso calo di luce del tramonto: l'anello di controllo della città era vicino. La mano gli andò istintivamente alla grande fibbia della cintura e al rigonfio del barattolo di Opta nella tasca del giaccone.
Il treno si fermò nell'unità di controllo a tenuta stagna e i pochi passeggeri iniziarono ad avviarsi all'ispezione sanitaria e ai condotti di sterilizzazione prima di prendere le navette a idrogeno che portavano in città. Le guardie del Monopolio, rilucenti nella tuta antivirale argentata, controllavano da dietro il vetro del casco tenendo le dita rigide sull'impugnatura del laser a induzione. Mercuzio le superò senza guardarle seguendo indifferente gli altri passeggeri. La fila davanti alle guardie addette allo sniffer elettronico si stava esaurendo. Aveva già superato lo sniffer una ventina di volte senza difficoltà ma sapeva che ogni tanto, del tutto casualmente, o per un improvviso sospetto, i controlli venivano approfonditi. Gli altri passeggeri, dopo aver consegnato e ripreso il foglio giallo del permesso di viaggio interregionale, erano stati fatti passare velocemente. Il caso questa volta poteva cadere su di lui. Con fatica riuscì a tenere ferma la mano. L'addetto infilò il suo permesso di viaggio nella feritoia dello scanner antiterrorismo e attese i pochi secondi necessari per l'accensione delle spie luminose. Verde tutto regolare, rossa arresto immediato. Verde. Riprese il foglio sputato fuori dalla feritoia e, anziché riconsegnarglielo, se lo portò all'altezza del vetro del casco. Poi guardò in faccia Mercuzio e gli chiese a bruciapelo chi erano i parenti che era andato a trovare e dove vivevano. La voce gli arrivò dall'amplificatore distorta e imperiosa. Rispose senza esitare. Ma non era ancora finita. L'addetto gli fece vuotare le tasche, scartò vari oggetti e prese nel guanto argentato il barattolo di Opta. "Canadian harvest" lesse dall'etichetta senza fare alcuna domanda.
- Per il viaggio - disse Mercuzio - se mi fosse venuta fame.
- Ma è ancora sigillata. - Rispose l'addetto.
- Non mi è venuta - rispose Mercuzio frenando a fatica l'ansia.
L'addetto spostò il barattolo davanti allo sniffer, quasi attaccato all'emettitore. Mercuzio sperò che i calcoli del suo amico Benvolio fossero esatti. L'addetto rigirò più volte il barattolo nello sniffer poi lo rimise sul piano e fece cenno di andare muovendo di lato il casco. Mercuzio si sforzò di riprendere le sue cose senza eccessiva fretta.
I suoi parenti vivevano in un paese dell'altopiano cento chilometri a sud della città. Era da lì che i suoi nonni si erano spostati nella città tanti anni prima. Col tempo, grazie ai forti incentivi concessi dal Monopolio a chi si trasferiva in città vendendo i terreni alle multinazionali OGM, i paesi della campagna si erano praticamente svuotati. I suoi restanti parenti, come pochi altri, avevano venduto ma erano voluti rimanere. A formare la stretta e malvista schiera di quelli che le autorità e i cittadini chiamavano country dropouts. Il paese era così diventato un paese fantasma e tutte le vecchie fattorie dei dintorni erano andate in rovina. Unico punto vitale in quel panorama di abbandono erano le farm OGM a coltura intensiva. Sopra queste era incessante il traffico degli aviomobili da trasporto e di quelli che portavano gli addetti, avanti e indietro dalla città per ogni turno di lavoro.
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