I "bambini prodigio" saranno la regola, ma al contrario di quelli odierni (che quasi mai preservano da adulti le loro capacità) diverranno tranquillamente "adulti prodigio", come tali quindi classificabili nella norma. Le abilità psichiche finora manifestate da alcuni (compiere a mente complesse operazioni matematiche, avere una memoria prodigiosa) diverrebbero comuni, e anzi nascerebbe gente con nuove facoltà. I limiti a tali mutazioni sarebbero solo quelli delle nostre possibilità bio-ingegneristico-immaginative. Ovvio inoltre che in una società di individui vaccinati quasi contro tutte le malattie (inclusi cancro, Alzheimer, diabete, aterosclerosi, sclerosi multipla, Aids), dotati di vita lunghissima nonché di cervello e corpo "super", tutto si rivoluzionerebbe su basi che siamo appena in grado di prefigurarci, e ci si augura in meglio, specie se l'uomo trovasse come accrescere - anche di poco - la sua razionalità. Sia pure a discapito d'una pari quota di irrazionalità (in effetti è questa soprattutto che ci fa "uomini").
Fantascienza e fantastico pullulano di umani longevi o di immortali, a partire almeno dal mito sumero-babilonese di Gilgamesh. In Gli immortali di James Gunn (1962, Fanucci 1982) si scopriva che il sangue donato da un uomo a un'emoteca era non solo in grado di immunizzare contro ogni malattia ma anche di donare l'immortalità: si scatenava quindi una caccia a tale individuo, costretto continuamente a nascondersi (dal romanzo fu tratta negli Usa una fortunata serie televisiva). Immortali erano gli abitatori del Vortex, sorta di decaduto paradiso terrestre nel film di John Boorman Zardoz (1973, con Sean Connery e Charlotte Rampling); anche Jonathan Swift, nei suoi Viaggi di Gulliver (1726) descrisse satiricamente una società di immortali. Da notare che nella maggior parte di queste storie il vantaggio di una vita praticamente infinita difficilmente donava la felicità, per un motivo o per l'altro. Spesso l'acquisizione della vita praticamente infinita provocava come contraltare la sterilità (quasi un meccanismo naturale di compensazione). Quanto al citato Vortex, esso era abitato da una torma di imbelli viziati e frustrati; i personaggi di Swift divenivano eterni ma non perdevano, ahinoi, la capacità di invecchiare: si trasformavano quindi in persone sempre più orribilmente decrepite senza poter porre fine al repellente processo. Nel ciclo delle Città volanti (quattro romanzi, 1956-1962) James Blish descriveva umani che vivevano quasi un millennio: interessante come in questo caso l'autore entrasse nella psicologia di individui che avevano accumulato una tale memoria di eventi e di esperienze, da indebolire o cancellare i ricordi più lontani; il che produceva talora stati depressivi o comunque spingeva a rifiutare in parte una simile condizione; la narrazione assumeva insoliti toni crepuscolari. Non manca la nota burlesca: in un raccontino apparso su "Galaxy" anni Sessanta erano espresse le amare considerazioni di un venditore di... casse da morto, dopo che la specie umana aveva in tempi brevi conquistato l'eternità (ma stavolta la memoria mi tradisce circa l'autore).
L'ibridazione diventerebbe un'altra "norma": ragazze con autentici occhi di felino, giovani con artigli da tigre, o muscoli da orso, sguardo di aquila. L'altra faccia sarà una progressiva "umanizzazione" degli animali (con risvolti anche poco piacevoli: si pensi a gorilla da combattimento, ipotesi affatto fantastica, sfruttata già nel 1956 da Frederik Pohl in Le navi di Pavlov, Urania n. 291). Dell'inglese dottor Dominic Recaldin, dell'Università di Londra, è l'idea di un'ibridazione col mondo vegetale: "Dobbiamo imparare la lezione della fotosintesi [che nelle piante tramuta la luce solare in energia, rappresentata soprattutto da zucchero e proteina]. Con la clorofilla sotto pelle", vagheggia Recaldin "l'uomo non avrà problemi alimentari e infrangerà le catene che lo legano alla Terra". E, aggiungiamo, tutti avremo anche un colorito verdino... Anni fa un ricercatore di un'università svedese, Antonio Lima de Faria, ibridò cellule umane con quelle di una margherita del deserto: l'esperimento attecchì, ma il biologo eliminò l'embrione-mandragola ai primi stadi (un resoconto dettagliato apparve su L'Espresso del 18 febbraio 1979).
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