Premessa con Darwin
In Geni, popoli e lingue (Adelphi, 1996) il professor Luigi Cavalli-Sforza, direttore del dipartimento di genetica della Stanford University (California), scrive: "L'avvenire dell'uomo sul piano genetico è assai poco interessante, poiché è probabile che non vi saranno grandi cambiamenti, e anzi meno di quanti ne siano avvenuti finora." Ridottasi di molto, grazie a medicine e al modo di vivere civile, la selezione naturale; "congelatasi quasi del tutto la deriva genetica, all'attuale livello di densità demografica della popolazione"; controllate eventuali mutazioni del Dna in quanto "considerate in questo momento pericolose perché causa di cambiamenti nocivi", accade che l'evoluzione dell'uomo si arresti: a meno che, conclude Cavalli-Sforza, "l'uomo non avrà la follia di cambiarsi volontariamente".
In sostanza, il noto studioso si dichiara scettico che oggi, con la rivoluzione culturale immessa dall'uomo sulla bilancia dell'evoluzione, possano essere ancora validi i parametri classici (una serie di piccole mutazioni progressive, di varia origine) che secondo Darwin avrebbero portato nei millenni alla prevalenza del più idoneo all'ambiente. Su quali siano questi parametri, tuttavia, il dibattito continua. La teoria darwiniana dell'evoluzione delle specie da una forma vitale primeva è ormai quasi universalmente accettata, tuttavia se alcune divergenze vi sono, nascono proprio circa le modalità del meccanismo evolutivo. Questo discorso ci porterebbe fuori del tema del nostro articolo; vale forse la pena, tuttavia, accennare ad alcune prevedibili mutazioni "naturali" dell'Homo Sapiens che, sempre secondo alcuni esperti, potrebbero verificarsi in futuro (parliamo sempre di secoli o millenni).
La nostra storia è breve: tre milioni di anni, contro le centinaia di insetti o pesci. E solo un milione d'anni fa l'uomo preistorico ideò i primi attrezzi. In noi persistono pulsioni primordiali: siamo cambiati più culturalmente che fisicamente. Un organo comunque si è modificato in modo spettacolare, e probabilmente continuerà a modificarsi: il cervello, macchina immensamente più efficace - e tuttora poco conosciuta - di quante l'uomo ne abbia costruito. In esso si trovano tracce d'una storia arcaica: la zona detta "cervello rettiliano" deriva da antenati di 100 milioni d'anni fa; su di essa da circa 10 milioni di anni, anche in altri mammiferi, si sono innestati gli emisferi; infine sotto l'ampia fronte (prerogativa solo umana) è apparsa la corteccia cerebrale. Si ritiene che il tutto sia avvenuto in concomitanza con lo sforzo di assumere la postazione eretta; il che ha liberato le mani e, in un circolo virtuoso, ha portato alla creazione di utensili e a un maggior sviluppo dell'intelligenza, in primis lo sviluppo del linguaggio. Cambiamenti tuttavia non indolori: l'aumento di volume del cranio ha reso più difficoltoso il parto, la colonna vertebrale non si è ancora del tutto adattata (gli animali non soffrono mal di schiena, né varici, prolasso d'organi, ernie...) Quanto al futuro quindi è plausibile che, pur restando nella visione generale di Cavalli-Sforza, proseguano alcune tendenze e anzitutto lo sviluppo craniale. Anche l'altezza media continuerà verosimilmente ad aumentare (un limite fisico sarebbero i 2 metri). Abbiamo perso il pelame ancestrale: probabile che spariscano i peli su braccia, gambe, torace, ascelle, (pube?), sopracciglia; barbe e baffi, capelli (e dunque, a consolazione dei calvi, essi sarebbero più avanti sulla scala evolutiva...) Si amplierà la fronte, il che aumenterà ulteriormente le difficoltà nel parto. Le mascelle si assottiglieranno per la crescente masticabilità dei cibi. Via anche i denti "del giudizio" (che già tendono a sparire); via l'appendice, residuo di progenitori erbivori, nonché il coccige (ex coda di lontani antenati); via forse anche le tonsille, organo di incerta utilità. Globalmente poi pare si manifesti una tendenza per un aumento percentuale degli individui con occhi scuri ed epidermide olivastra, rispetto alla tipologia con pelle e occhi molto chiari. Il tutto non avverrebbe, crediamo, in modo psicologicamente e socialmente indolore; d'altronde i tempi saranno (come dicevamo) secoli, anzi millenni. Ci si augura quindi che si rafforzino anche concetti etici. Al congresso mondiale di genetica tenuto nel '95 a Birmingham fece scalpore una previsione del prof. Steve Jones dell'University College di Londra, secondo il quale ormai le integrazioni stanno divenendo tali, che entro pochi secoli esisterà sulla Terra una mono-razza, e avrà la pelle scura. Nella circostanza un altro studioso, il prof. Piazza, replicò con una contro-provocazione: il colore unico dell'umanità non sarà il nero ma il giallo. Quale la probabile verità? Realisticamente, prevarrà la popolazione con un ritmo di crescita (e di emigrazione) più rapido. E ci sembra di capire... che non sarà quella "bianca".
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