Dalla doppia elica agli amminoacidi
Con la scoperta della struttura del DNA, i pezzi del mistero della composizione e della struttura degli acidi nucleici andavano a posto. Dentro i cromosomi delle cellule trovavano posto questi filamenti di DNA che risultavano così una lunga catena molecolare, come una lunghissima scala a pioli avvolta elicoidalmente.
Ciascun piolo della scala era costituito da una coppia purina-pirimidina, che poteva essere adenina(A)-timina(T) o citosina(C)-guanina(G), le cosiddette coppie di basi azotate, mentre l'ossatura della scala, ovvero lo scheletro su cui si innestavano i pioli era costituito da una serie di zuccheri (il già citato desossiribosio) e di gruppi fosforici. Il legame chimico tra AT e GC era un legame a idrogeno relativamente debole e questo permetteva all'elica di spezzarsi con una certa facilità, cosa fondamentale per tutta un'importante serie di processi cellulari.
A questo punto tutto quanto era stato studiato fino a quel momento, in particolare geni e caratteristiche ereditarie, doveva essere rimesso in discussione e revisionato alla luce della nuova scoperta, considerando anche il fatto che, nel caso del DNA umano, il peso molecolare del filamento di DNA era tale da contenere milioni e milioni di coppie di basi. Si pensi che il numero di coppie di basi di un DNA umano, contenuto nei suoi ventitré cromosomi, raggiunge i tre miliardi e, se si dovessero svolgere tutti i filamenti di DNA presenti nei nuclei di tutte le cellule di un corpo umano (circa 100 trilioni), si potrebbe coprire venti volte la distanza Terra-Sole e ritorno.
E' somprensibile dunque che, da qui a capire come venivano codificati i caratteri ereditari e come le basi erano responsabili della loro attivazione all'interno del corpo dell'essere vivente, il passo non fu per niente breve. Anzi, per certi versi questa seconda tappa del viaggio non è ancora del tutto terminata. Però qualcosa di più ne sappiamo. Innanzitutto sappiamo che le informazioni genetiche sono codificate secono triplette di nucleotidi, ovvero a blocchi di tre coppie di basi chiamati "codoni", e i geni sono sequenze di codoni all'interno della lunga catena di DNA.
In secondo luogo sappiamo che la stragrande maggioranza delle coppie di basi (circa il 95%) sono cosiddetto "DNA spazzatura", ovvero sequenze di codoni che apparentemente non servono ad alcunché, ma che sembrano residui di attacchi di virus o di processi evolutivi che ci portiamo dietro nelle nostre cellule da migliaia e migliaia di anni. Nel 5% che rimane, il numero di codoni che formano un gene è variabile a seconda dei geni e ci sono fattori ereditari formati da un codone solo e fattori ereditari formati invece da una sequenza di decine e decine di codoni.
Ma la caratteristica basilare del DNA, che ci è ormai ben chiara, è che ogni codone rappresenta un amminoacido, ovvero un costituente fondamentale delle proteine. Tutti i tessuti del nostro corpo sono infatti fondamentalmente costituiti da proteine che, a loro volta, in maniera molto simile alla catena molecolare del DNA, sono formati da lunghe catene dei venti amminoacidi conosciuti in natura. E' dunque ragionevole che a ciascun codone sia associato un particolare amminoacido. Tuttavia, poiché i codoni sono costituiti da triplette formate da quattro possibili basi, esistono sessantaquattro possibili combinazioni diverse di singoli codoni. Poiché gli amminoacidi sono solo venti, le cose cominciarono a complicarsi quando si scoprì che effettivamente codoni diversi veicolavano l'informazione per un medesimo amminoacido. Ma c'era di peggio. Codoni che codificavano un determinato amminoacido potevano essere infatti anche responsabili della marcatura dell'inizio di una catena genica, mentre altri potevano rappresentare segnali di termine. L'interrogativo che nasce obbligatoriamente a questo punto è: ma come fanno i vari codoni ad agire operativamente? E qui entra (finalmente) in causa il già citato cugino del DNA, l'RNA.
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