Con I guerrieri dell'anno 2072 si andava sul futuribile. E il gioco si faceva più sottile: moderni gladiatori sotto l'occhio cannibale di un grande fratello televisivo che non si era ancora palesato in Mediaset né altrove. I combattenti, di vario colore di pelle e provenienza, devono arrivare vivi alla fine della trasmissione. Uno di loro bussa, per vendetta, alle porte dell'entità suprema che governa il reality show. E si trova di fronte a una specie di Hal 9000 incattivito. Consapevole che nutrire le masse a sangue, eroi e consigli per gli acquisti, paga eccome. Qui, qualche tributo alla narrativa e al cinema di "anticipazione" viene onorato da Fulci, ma in modo del tutto imprevedibile. Incubi in vendita, i déjà-game fulciani, prima che fosse Katherine Bigelow nel suo Strange Days (1995) a sognarli per noi. Echi della "omeopatia" della violenza strappati di peso ad Arancia meccanica. Versioni della realtà vissute, o semplicemente sognate, che si incastrano in un meccanismo di scatole cinesi all'interno di quel gran contenitore di vita, morte e rinascita infelice che è la televisione. Una storia di rimandi e scambi più o meno autorizzati, quindi, come spesso accadeva nel bis movie italiano; ma anche un esempio di come, a volte, potevano essere gli artigiani di casa nostra ad anticipare certe suggestioni senza che il merito fosse loro riconosciuto. Un po' per snobismo, un po' per disattenzione. Andando in dettaglio, I guerrieri... mostrava non pochi elementi che avremmo poi trovato in The running man (1987) di Paul Michael Glaser (Starsky che fa il regista, proprio lui!), ancor prima che il romanzo originale di Stephen King da cui era stata tratta la pellicola americana fosse edito in Italia. Dal canto suo, la storia scritta da Fulci, Frugoni e Sacchetti aveva non poche connessioni con il precedente Rollerball (1975), ma altrettanto numerosi erano gli elementi che sarebbero tornati, proprio come in un déjà-game, nel successivo Total Recall (1990) di Paul Verhoeven. Quanto basta, insomma, per stabilire che i generi sono materia labile ed elastica, suscettibili non solo di manipolazione, ma anche terreno fertile per invenzione. Innovazione che non sempre, non necessariamente, piove dai modelli "alti".
Queste le avventure fulciane nel futuro, o in un passato indefinibile. E la questione spinge a una riflessione (o a un "dubbio", rifacendosi a una delle chiavi di lettura di tutto il cinema fulciano) che è quasi d'obbligo quando si affronta la filmografia di un regista, alchimista e demiurgo dei sensi e dello sguardo quale è stato Lucio Fulci, alla stregua del suo Zweick, pittore diabolico protagonista de L'aldilà.
Difficile scindere o definire le componenti della materia che ribolle nel calderone, anche quando la sua natura, come nel caso di Conquest e I guerrieri dell'anno 2072 è apertamente dichiarata. Meglio intuirle, certe suggestioni che hanno a che fare con la fantascienza, coglierne i guizzi, intuibili qui e là. E chiedersi se e quanti "germi" di natura simile abbiano agito da elemento perturbante, sotterraneo, nell'opera del regista.
Bisogna andare lontano, scavare; e gli indizi in questo senso non mancano. Sorvolando sui progetti incompiuti, tutti da approfondire, come La luna nera (una vicenda di repressione sessuale al femminile ambientata in un fantomatico agglomerato, il Beta X), e un non meglio identificato Nuvola di sangue (una storia immaginata nel futuro, scritta da Fulci stesso e dallo sceneggiatore Cesare Frugoni, ma mai realizzata), si può dire che l'amorazzo del "terrorista dei generi" per l'immaginario fantascientifico sia partito da lontano e che abbia giocato a insinuarsi, come fattore spiazzante, in un contesto sempre e comunque estraneo al genere vero e proprio, alle sue infinite filiazioni.
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