Prima le donne e i bambini

Anche nel romanzo di Anna Kavan Ice (1967, tit. it. Ghiaccio, Bompiani, Milano, 1974) c'è un esodo, che però è molto diverso da quello descritto da Christopher. Dobbiamo dire per prima cosa che la glaciazione che investe il romanzo della Kavan sembra più simbolica che reale. Restano indefinite, o quanto meno poco circostanziate, le sue cause e quanto essa sia reale e non un'allucinazione dei personaggi che spesso sembrano perdersi in sogni o visioni. Un uomo si muove nel romanzo all'inseguimento di una donna quasi albina (elemento sempre ricorrente sono i suoi capelli che ora sono come vetro ora come ghiaccio) che continua a sfuggirgli come se lui fosse il suo peggior nemico. Entrambi si spostano, trascinati quasi dalla massa dei profughi, verso terre dal clima sempre più caldo, inseguiti da masse di ghiaccio che sembrano non dare scampo all'umanità, restringendo sistematicamente i luoghi dove è possibile vivere e scatenando quindi guerre: "La situazione del mondo si stava aggravando. Non c'era segno della fine della distruzione, e la sua inesorabile avanzata provocava un generale senso di prostrazione. Era più che mai impossibile scoprire ciò che stava realmente accadendo, impossibile sapere a chi credere. Non esisteva alcuna fonte d'informazione di cui ci si potesse fidare; dall'estero giungevano pochissime notizie riguardanti in qualche modo la situazione; non ne giungeva nessuna da nazioni una volta importanti che erano letteralmente sparite dalla faccia della terra. Più di qualsiasi altra causa era l'implacabile estendersi di queste aree di silenzio totale che snervava e fiaccava il morale degli individui.

In certi paesi l'inquietudine degli abitanti aveva causato l'avvento di un regime militare. Durante gli ultimi mesi si era verificata una svolta su scala mondiale verso il militarismo, con effetti rovinosi e barbari: frequenti scontri tra civili e forze armate, uccisioni di poliziotti e di soldati, esecuzioni sommarie era diventate fatti assolutamente normali" (p. 134-135). La popolazione mondiale si scanna nel tentativo di salire sulle navi per ritardare di un poco la propria fine: "Dietro di noi si alzarono delle grida; le ignorai; la mia attenzione era tutta concentrata sulla ragazza. Il canale libero dal ghiaccio si era considerevolmente ristretto; presto sarebbe stato anch'esso gelato. Lunghi scoppi incredibilmente sonori, simili a spari o a rombi di tuono, provenivano dal ghiaccio che si rapprendeva nel porto; mi sentivo il volto scorticato, avevo le mani livide e ustionate dal freddo, ma non smisi di remare verso la nave, attraverso il turbinio bianco della bufera, le folate di schiuma, il ghiaccio rimbombante, stridii, scoppi, sangue. Una piccola barca affondò. vicino a noi, l'acqua ribolliva di membra che si agitavano freneticamente. Mani disperate sul punto di essere sommerse cercarono di aggrapparsi ai bordi della nostra; me ne liberai con la forza. Una coppia di innamorati passò galleggiando, serrati insieme da braccia di ghiaccio, dondolando e rotolando in delirio nelle onde. All'improvviso uno violento scossone fece traballare la barca; mi girai di scatto, estraendo la pistola. Sapevo che cosa era successo. Dietro di me un uomo si era issato a bordo. Sparai, lo ricacciai in acqua, lo guardai macchiarsi di rosso. La fiancata della nave torreggiava sopra di noi alta come una scogliera, la scala di salvataggio arrivava solo alle mie spalle.

In qualche modo, con uno sforzo enorme riuscii a spingere la ragazza sui pioli di legno, salii dopo di lei, la spinsi su fino al ponte. Ci fu permesso di rimanere. Nessun altro giunse a bordo. La nave salpò immediatamente. Era un trionfo" (p. 149-150). E' la civiltà che collassa. L'uomo che torna allo stato selvatico. Ma, come dicevamo all'inizio, in questo caso il ghiaccio sembra più simbolico che reale, un gelo che riguarda i rapporti umani. Non è infatti da trascurare quanto dice Brian Aldiss, nella introduzione al libro, dove fa esplicitamente riferimento al nome di Franz Kafka per quanto riguarda la poetica della Kavan.