Il Grande Esodo
Ghiaccio ci viene da ben tre autori Inglesi: John Christopher, Michael Moorcock e Anna Kavan, pseudonimo di Helen Woods Edmonds, francese di nascita ma a lungo residente in Gran Bretagna.
Nel primo caso si tratta di un ghiaccio prettamente inglese: John Christopher è un autore specializzato in catastrofi di vario genere. The Death of Grass (1956 tit.it. Morte dell'erba, Classici-Fantascienza 49, Mondadori, Milano, 1981) si occupa della carestia mondiale causata dalla comparsa di un'erba infestante; The World in Winter (1962 tit.it. L'inverno senza fine, Biblioteca Universale Rizzoli 345, Rizzoli., Milano, 1980) di una glaciazione che investe gran parte del globo e A Wrinkle in the Skin (1965, tit. it. Una ruga sulla Terra, Urania 803, Mondadori, Milano, 1979) di una serie di rovinosi terremoti. In tutti questi romanzi l'interesse di Christopher non risiede nella mera avventura catastrofica bensì nei mutamenti sociali, ma soprattutto individuali, portati dalla catastrofe, in come i suoi personaggi sono costretti a riposizionarsi in nuove coordinate esistenziali. Dicevamo un ghiaccio prettamente inglese. Nel romanzo The World in Winter in effetti anche se veniamo a sapere che la glaciazione (causata da una mutazione nell'irradiazione solare) riguarda il mondo intero, ci troviamo di fronte a una rappresentazione della catastrofe quasi esclusivamente britannica. Non ci viene raccontato se non in poche righe come il mutamento climatico venga affrontato in Francia o in Germania, e gli Stati Uniti sembrano non esistere. La catastrofe non è certo improvvisa (e artificiosa) come nel film di Emmerich. L'effetto Fratellini, chiamato così dal nome del suo scopritore, un astronomo italiano (e avremmo tranquillamente fatto a meno di tanto onore) si stende negli anni. Il romanzo inizia con una vita che diventa sempre più difficile, i razionamenti, la descrizione delle biblioteche piene di libri che diventeranno inevitabilmente combustibile. Lo stato ha sempre meno il controllo della situazione e finisce per ridursi a una piccola enclave che riguarda Londra, abbandonando il resto del paese al suo destino e facendo sparare addosso a chiunque tenti di intrufolarsi. Il protagonista e la sua compagna, moglie di un alto funzionario statale, hanno tutto il tempo per preparare il proprio trasferimento in un paese maggiormente assolato.
Emmerich nel suo film se la cava abbastanza facilmente con i sopravvissuti: tutti in Messico e senza troppi problemi per il futuro. Almeno, il regista preferisce glissare su questo punto. Nel romanzo di Christopher le cose vanno ben diversamente. I britannici, in fuga in Africa, in Nigeria, Sud Africa, Ghana, non se la passano bene. Anche chi è partito con un certo patrimonio scopre che la sterlina è diventata senza valore. Eccoli quindi obbligati a mestieri infimi, gli uomini giardinieri o nell'esercito, le donne cameriere presso padroni di colore che scimmiottano i comportamenti dei vecchi padroni inglesi, o entreneuse nei locali frequentati da africani. Altrimenti c'è la baraccopoli e l'indigenza. Soltanto il protagonista, giornalista televisivo, evita questo destino impiegandosi, per intercessione di un ex collaboratore africano, nella televisione locale. Nella terza parte del romanzo c'è poi la descrizione del ritorno in patria del protagonista al seguito di una spedizione di nigeriani che vorrebbe conquistare il Regno Unito. Ci viene mostrato un paese stretto nella morsa dei ghiacci, un ambiente simile all'Artide, dove piccole comunità si fronteggiano, qualche accenno ad atti di cannibalismo e il peana per l'indipendenza che i fieri britannici riescono a mantenere e per le sorti della ricostituenda Gran Bretagna.
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