Uscimmo e lei mi si strinse contro senza parlare. Ci lasciammo all'inizio del turno. La mia irrequietezza era immutata, mi feci forza e il pensiero che necessariamente tutto non sarebbe potuto continuare a lungo così, mi venne improvviso.
Fu come se mi avessero folgorato.
Alla fine del lavoro, Lohu mi attendeva. Non so se l'avrei fatto io, altrimenti. La presi in macchina e lei mi fece guidare verso casa sua. Abita in un quartierino molto simile al mio, ma da lei, non so se per una mia impressione, tutto appare più caldo, più accogliente. Ricordo di aver passato momenti molto piacevoli a casa sua mentre la tenevo nuda fra le braccia e Mozart e il sole del tramonto si spandevano nella stanza. Ma quella volta, quando ci fummo mi accorsi che tutto era né più né meno come da me.
Nel soggiorno mi fece accomodare in una delle sue ampie poltrone e venne a sedersi sul bracciolo, circondandomi il collo. In modo automatico le passai il braccio attorno alla vita. Lei dovette interpretarlo diversamente, perché si girò verso di me e mi premette i seni contro il viso. Non mi mossi. Strofinandosi contro di me fece scendere la scollatura fino a restare con il seno nudo. D'istinto mi porse un capezzolo, inturgidendolo fra le dita, e come sempre presi a mordicchiarglielo. Ma senza volerlo espressamente. Altre volte i capezzoli che mi porgeva mi erano parsi piccoli universi, ma non ora. Rimasi docile, assecondandola, mentre lei sembrava invasa da fremiti che la facevano torcere come una serpe. Si liberò del vestito e mi rimase contro col solo reggicalze e le mutandine trasparenti. La bocca sembrava essere divenuta più grande ancora che per il trucco e i suoi denti si erano fatti di lupa. Fu lei a spogliarmi strappandomi di dosso gli abiti e a guidarmi verso il divano, quando non ebbi più addosso nulla. Ancora lei fu a premermi il grembo contro il viso, disteso come ero, e a liberarsi del tutto, perché la mia bocca l'assecondasse. Sempre senza che io lo volessi o lo sentissi. Finché prese a baciarmi come pazza, graffiandomi, striandomi con i denti, assumendo le pose più laide e oscene. Fu lei, furono le sue mani, la sua bocca a scorrere esperte e frenetiche sul mio corpo risvegliandolo. Ma in una reazione non voluta. Scese su di me aperta come un compasso, esperta e famelica. Sussurrandomi un fiume di oscenità mentre mi si strusciava contro. Mi ebbe perché fu lei a volermi, molto tempo ancora. Poi mi lasciò andare e scivolò sguaiata sopra il tappeto.
Andai a prendere nel bar una bottiglia di gin e la feci bere. Balbettava parole incoerenti, di me, che non ero più io, che non voleva lasciarmi, che aveva ancora voglia... Quando ritenni che sarebbe bastato misi via la bottiglia, la presi in braccio e la portai a letto. Le caricai la sveglia, mi accertai che dormisse, mi rivestii e la lasciai.
Non era troppo tardi, ma mi affrettai lo stesso. Mi fermai solo a mangiare in una rosticceria e poi fui a casa.
Adesso sto per andare a letto, e questa è la terza notte...
Mi svegliai indolenzito per via di Lohu, ma quasi senza traccia di intontimento.
Non ce ne sarebbe più stato. Quella parentesi caotica era finita la sera prima. Louis mi trovò normale, me lo disse il suo solito viso. Non provai neppure l'insofferenza e l'irrequietezza dei giorni precedenti. Ero calmissimo, lavoravo con la stessa sicurezza dei periodi migliori. Solo che lo facevo sorretto dalla certezza che presto avrei potuto lasciare ogni cosa.
La fine del turno di mezzogiorno segnò la fine della giornata, era venerdì, iniziava il week-end. Lohu mi aspettava. Era molto pallida e il trucco pesante la invecchiava dandole, per di più, un aspettò quasi da prostituta. Mi salì accanto e misi in moto senza parlare, dirigendomi verso casa sua.
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