La granda fuga dell'Ottobre Giallorosso
di Tom Clancy (?)
Stretto di Gibilterra
Il capitano in prima della Marina russa Marko Ramius, al comando del sommergibile nucleare di classe Tifone Intestinale Pierpavlovskji, era in piedi nella camera di manovra, una piattaforma larga sette piedi e lunga nove e con un po' di morchia negli angoli secondo le ultime foto scattate dal satellite spia XEYE-23 con le lenti semicromate bifocali da 35 millimetri.
- Choladna sivodnia, tovarich Rasputin - disse all'ufficiale alto e magro che sopraggiungeva inerpicandosi per la scaletta di acciaio imbullonata alla murata con dadi da 8 centimetri e mezzo e filettatura a 45°.
- Da, choladna - approvò gravemente l'altro. - Ora però smettiamola col russo, che sennò qui nessuno capisce un kazzoff.
- Molto bene. Cosa dicono gli ordini da Mosca, compagno primo ufficiale?
- Che dovremmo smetterla di chiamarci "compagni", comandante. Non siamo più comunisti, ricorda?
- Ha ragione, primo ufficiale. A volte me lo dimentico, specie quando penso che il nostro liberista e filo-occidentale presidente ha fatto carriera nel KGB. Comunque non essere più comunisti ha i suoi lati positivi: mangiare bambini a pranzo e a cena mi faceva venire brufoli grandi come carri T72... Allora? Questi ordini?
L'altro gli porse la busta sigillata col timbro del Cremino, orribile a vedersi come tutti i simboli governativi russi. Ramius strappò la cucitura in pelle di irredentista ceceno, lesse brevemente il messaggio in cirillico, poi fece cenno a Rasputin di avvicinarsi. Quando l'altro gli si accostò, Ramius gli mollò uno sganassone terrificante sulle gengive. Rasputin volò oltre la murata e cadde in mare. Fece per gridare aiuto, ma gli squali che usualmente seguono i sottomarini russi proprio per queste evenienze (si riconoscono dagli altri pescicani perché le radiazioni dei motori Koniev non schermati li rendono fosforescenti e con la faccia di Adriano Pappalardo) se lo spolparono in tre secondi netti.
Ramius gettò in mare anche il messaggio del Cremino. Poi trasse dall'uniforme (la tipica divisa ufficiali, orribile a vedersi, della Marina russa, giacca nera con tre strati di lana e due di tela cerata, quindici bottoni, cuciture sotto le ascelle e spalline rinforzate, pantaloni a zampa di yak siberiano, niente cerniera lampo perché ritenuta una superflua comodità imperialista, scarpe modello gulag e colbacco in pelo di pope ortodosso) una busta identica e scese sotto coperta.
Qui lo attendevano lo star_in responsabile del motore nucleare (un ometto con due teste di cui una da tonno e l'altra da Adriano Galliani), l'ufficiale pilota (starpom) e il miãman addetto ai siluri. Ramius li squadrò attentamente come solo un vero capitano di vascello ex-comunista sapeva fare, cioè strabuzzando gli occhi dopo aver vuotato la sedicesima bottiglia di vodka con contorno di cetriolo nano del Volga.
- Ho gli ordini per la missione - disse.
Sede della CIA, Langley
Jack Ryan indossava un completo proveniente da Savile Row: camicia bianca, giacca scozzese e cravatta a strisce. Privo di tratti fisici salienti, alto sull'1,85, Ryan aveva una corporatura media un po' appesantita ai fianchi dalla mancanza di esercizio ginnico, visto che dalla caduta del muro di Berlino non riusciva più a concedersi un bel Safari al comunista come si deve. Gli amici del Pentagono gli avevano proposto in sostituzione qualche battuta dalle parti di Bassora, ma per Ryan non era la stessa cosa.
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