- Se hai bisogno di parlare, io sono qui - disse la voce alle sue spalle.
Ary sobbalzò. In un attimo fu in piedi, il laser spianato, pronto al fuoco.
- Il desiderio di condividere le proprie emozioni con qualcuno è del tutto naturale, per un essere umano - proseguì l'Ectoplasma, ignorando l'arma puntata contro di lui. - E a me, certo, non dispiace che sia così. Dopotutto è per questo che tu mi hai evocato, sia pure inconsapevolmente. In un certo senso si potrebbe perfino sostenere che io esisto grazie ai tuoi bisogni umani...
Per un attimo Ary lo fissò con odio. Poi risedette, imprecando sottovoce.
- D'altra parte sarebbe sbagliato pensare che io mi senta sminuito perché le mie apparizioni dipendono dai tuoi mutevoli umori - proseguì l'Ectoplasma, con pedanteria. - Non c'è nulla di più positivo, per un essere vivente, che avere coscienza della propria funzione e accettarla con serenità. Io lo faccio. Ho sempre pensato che sia soprattutto per questo che posso considerarmi, a buon diritto, un'entità razionale.
- Vattene - mormorò Ary senza guardarlo.
- Cosa che, invece, non si può dire di te - lo rimbeccò subito l'Ectoplasma, inarcando un sopracciglio. - Basta rilevare questa palese contraddizione. Hai appena espresso il desiderio di comunicare con qualcuno...
- Togliti dai piedi!
- ...ma non appena questa opportunità ti viene offerta, tu la rifiuti. Anche un'intelligenza minore sarebbe in grado di notare l'assurdità di un simile comportamento.
- Non voglio parlare con un miraggio.
- Miraggio? I miraggi sono fantasie. Io sento, penso e comunico. Dunque non sono meno reale di te - concluse l'Ectoplsma.
Ary Blomqvist si lasciò sfuggire un gesto d'insofferenza, ma non replicò. Non era ancora riuscito ad abituarsi a quel fantasma blaterante che, da qualche mese, di tanto in tanto, gli spuntava davanti senza preavviso. E, quel che era peggio, spesso si trovava a subirne la presenza quasi con soggezione. L'Ectoplasma era un chiacchieratore fastidioso e inarrestabile. Niente di più lontano da lui. Ma dal punto di vista fisico era un suo sosia perfetto. Una copia carbone. I corti capelli neri. La cicatrice sotto il labbro. La fronte alta. Il naso un po' piegato per una vecchia frattura. Guardarlo era come fissare in uno specchio un altro se stesso, incredibilmente simile e incredibilmente diverso. Faceva sempre un certo effetto.
Il pensiero lo irritò del tutto.
- Perché i Demiurghi non mi lasciano in pace? - scattò secco.
- Di chi stai parlando?
- Dei tuoi padroni. Degli esseri che hanno costruito questo luogo. Di quelli che mi tengono prigioniero e ti mandano a tormentarmi.
L'Ectoplasma sorrise con sufficienza.
- Ancora queste idee assurde! Non riuscirai mai a superare il tuo complesso di persecuzione? I ... Demiurghi, come li chiami tu, esistono solo nella tua fantasia.
- Davvero? Allora chi ha costruito il Labirinto?
- Nessuno, naturalmente. Il Labirinto è sempre stato.
- E cos'è? Uno zoo? Un laboratorio?
- La tua immaginazione...
- Io non immagino! Io so. Qualcuno si diverte a imprigionare nel Labirinto esseri intelligenti di ogni parte dell'universo. E poi se ne sta là, a guardarli. Si gode il loro smarrimento. La loro angoscia. La loro agonia. Qualcuno, ora, mi sta osservando. Ma non riuscirà a ridere di me.
L'Ectoplasma scosse la testa assumendo quell'aria paterna, pacata e saccente, che l'Assaltatore aveva sempre trovato detestabile, soprattutto perché la vedeva dipingersi sul suo viso.
- Ary, mi preoccupi - ribatté. - L'atteggiamento che hai sviluppato negli ultimi tempi è veramente infantile. Sentirsi perseguitati da forze oscure è cattiva filosofia. Significa che hai deciso d'essere in lotta contro la realtà. Non arriverai mai a nulla, continuando in questo modo. La realtà non può essere combattuta. Può essere solo compresa e accettata.
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