Quando Ary Blomqvist raggiunse la galleria di raccordo, sotto la cupola-foresta diluviava da alcuni giorni. Una pioggia violenta e regolare che sembrava non dovesse finire mai. Il fondo dei sentieri era diventato molle. L'intrico della vegetazione si era quasi raggomitolato sotto l'ossessivo scrosciare dell'acqua che batteva sul fogliame come su un tamburo dalle mille tonalità. Ary fu contento quando finalmente trovò riparo nella galleria. Sganciò le cinghie della slitta. Posò il laser. Si sedette con la schiena appoggiata alla parete metallica. Rimase là, a guardare la foresta che rabbrividiva nel diluvio, come da un'ampia finestra senza vetri.
La gamba gli faceva sempre male. Anche se negli ultimi giorni era andata migliorando, camminare gli costava ancora una certa fatica. Il veleno del Numero Due aveva fatto un buon lavoro, corrodendogli il sistema nervoso. E lui non era affatto certo che quella menomazione non sarebbe durata per sempre. Comunque, considerando che per alcuni momenti era stato praticamente morto, poteva dire d'essersela cavata.
L'idea gli strappò una mezza smorfia. Secondo il computer della tuta era rimasto in coma per tre giorni. La siringa a pressione era riuscita a trovare la giusta combinazione di antidoti quando lui aveva ormai perso coscienza. Non ricordava nulla di quei momenti. Rammentava solo d'essersi svegliato, una notte, sull'erba fradicia. Le ossa rotte. Un atroce mal di testa. Lo stupore infinito di ritrovarsi vivo. Fece uscire un contenitore dallo zaino miniaturizzante e succhiò qualche grammo di gelatina nutritiva. Il cibo azzurrognolo, solitamente insapore, gli diede una sensazione sgradevole. Non se ne stupì. Il suo sistema nervoso era stato scosso in profondità e stentava a ritrovare un equilibrio. Era un fatto di cui avrebbe dovuto tenere conto. Non poteva affrontare il Labirinto in condizioni precarie. A meno di non volersi suicidare.
Dopo qualche riflessione, decise che si sarebbe attardato nella galleria il più a lungo possibile. Avrebbe raggiunto l'estremità opposta (camminando a rilento ci avrebbe messo una decina di ore). E poi sarebbe rimasto sulla soglia, finché non si fosse sentito meglio. L'esperienza gl'insegnava che le gallerie di raccordo erano l'unico punto del Labirinto in cui si potesse sostare con relativa tranquillità. Naturalmente c'era anche il rovescio della medaglia. Tanto per cambiare, aveva poca gelatina nutritiva. Ogni ora che passava a riposare nella galleria sarebbe pesata, dopo, quando avrebbe dovuto inevitabilmente riprendere la caccia. Ma non poteva fare diversamente.
Quasi a voler sottolineare la decisione, Ary ripose il contenitore nello zaino. Riagganciò le cinghie della slitta. Fece per riprendere il cammino.
- Sei sicuro di quello che stai facendo? - chiese la voce alle sue spalle.
L'Assaltatore ebbe un sussulto, ma non si voltò. Strinse le labbra e andò avanti.
- Ary... - lo inseguì la voce.
Continuò a camminare.
- Ary, cerca d'essere ragionevole.
Avanti, senza voltarsi. E al diavolo la gamba che gli faceva male.
- Pensaci! - insistette la voce, impietosa.
Ary si lasciò sfuggire un gemito di nervosa rassegnazione. Si voltò.
- Cosa vuoi ancora? - chiese all'Ectoplasma seduto sulla soglia della galleria.
Il suo sosia immateriale scosse la testa.
- Vorrei vederti ragionare, una volta tanto - rispose. - Non ti è bastato quello che hai fatto fino ad ora?
- Non ho fatto nulla.
- E' appunto quello che volevo sentirti dire. Non sei riuscito a fare nulla. E non ci riuscirai mai. Eppure continui a sognare. Non negarlo! Io so cos'hai in mente. Lo so, e ti compiango.
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