Quando le radici: Paolo Lanzotti
In silenzio, senza clamori, tenendosi in disparte (non ricordo di averlo mai visto a una convention, per esempio) Paolo Lanzotti (1952) ha dato un suo personalissimo contributo alla narrativa italiana di fantascienza...
1.
Julian era morto. Il corpo sventrato a pochi passi da un Condotto del Cibo, sulla riva del lago cremisi. A giudicare dai morsi sulla testa e sul collo, poteva essere stato un Cherubino succhia-cervello. Probabilmente lui non aveva nemmeno cercato di difendersi. Da molto tempo non era più in grado di badare a se stesso. Il Labirinto lo aveva vinto. La morte aveva aspettato solo un po' di più. Ora il vento freddo che soffiava da nord gli ammucchiava addosso la polvere d'oro della spiaggia, in un sibilante gesto di scherno.
Ary Blomqvist distolse gli occhi dal cadavere dilaniato, cercando di reprimere il nodo di rabbia che gli era salito in gola. Rabbia e frustrazione. Era bastato perderlo di vista per pochi minuti. Julian sarebbe comunque finito così, prima o poi. Lo sapeva. Ma il pensiero di quella distrazione lo avrebbe egualmente seguito per molto tempo. E gli sarebbe stato difficile separare il rimorso per la negligenza dalla sensazione d'essersi liberato di un peso.
Dalle acque del lago emerse una coppia di Ippocampi. Gli enormi bestioni dal lungo corno frontale si agitarono con grida stridule. Fecero schioccare la coda contro gli scogli di cristallo che emergevano dall'acqua rossa. Si rituffarono, alzando spruzzi gelidi. L'esibizione ebbe finalmente il potere di scuoterlo. Con un gesto irritato fece uscire una pala dallo zaino miniaturizzante e cominciò a scavare. Il termometro segnava due gradi sotto zero. La polvere d'oro della spiaggia era ghiacciata. Fece fatica a scavare una fossa. Insistette, poi lasciò cadere il corpo di Julian nella buca. Lo ricoprì alla meglio. Staccò dalla cartucciera della tuta un'atomica D. Attivò la bomba, digitando sul tastierino la sequenza in codice, e andò al Condotto del Cibo.
La colonnina metallica si alzava sulla spiaggia per circa un metro. In alto, lo sportello a tagliola era ancora aperto. Una manciata di gelatina nutritiva pulsava nella cavità, come una medusa azzurrognola sospesa nel vuoto da un campo magnetico. Ary la raccolse con la mano e la lasciò cadere in un contenitore. Lo sportello prese subito a richiudersi. La colonnina metallica cominciò a scendere lentamente, risucchiata dalla spiaggia.
Non si affrettò. Rimase a guardare il Condotto che spariva nella polvere d'oro, fino all'ultimo momento. Poi gettò la mina atomica nella fessura dello sportello quasi chiuso, voltò le spalle e tornò verso la slitta anti-g, contando mentalmente. Quando arrivò a trenta non poté trattenere una mezza smorfia nervosa. Laggiù, da qualche parte, l'undicesima atomica D era andata ad incollarsi alle pareti del Condotto, in attesa del segnale. Ormai era quasi fatta. Allontanò il pensiero. Riassestò sulle spalle lo zaino miniaturizzante. Imbracciò il laser. S'incamminò verso nord, lungo la riva, trascinando la slitta.
Il vento aveva cominciato a montare. Le gelide acque del lago si stavano agitando tra gli scogli cristallini. La polvere d'oro, alzata in finissimi mulinelli, gli sbatteva contro la visiera del casco. Tra poco, sotto quella cupola del Labirinto ci sarebbe stata tempesta.
2.
Erano stati catturati in sei. Lui, Julian, Obermayer, Miller, Cerezo e Apollo Starakis. Due anni prima. Durante un normale servizio di pattugliamento su Ophidus Nove. C'era stato un lampo accecante. Un dolore secco nelle ossa. La nausea. La sensazione di cadere in un pozzo senza fine. I sintomi di un teletrasporto violento, operato senza precauzioni. Un attimo prima stavano calpestando le strade a ragnatela delle Città Pendenti. Un attimo prima stavano maledicendo, come al solito, quello sperduto pianeta dalla gravità troppo bassa. E quella civiltà aliena, scomparsa da millenni, che aveva costruito agglomerati urbani così scomodi per degli esseri bipedi, non abituati a camminare a testa in giù. E il Tenente a Terra Storh che li aveva rimessi in servizio, privandoli del loro periodo di riposo sull'incrociatore, solo perché ce l'aveva con Ary. L'attimo dopo si erano trovati in una palude nebbiosa, sotto una cupola opaca dalle dimensioni titaniche, che creava, in alto, l'illusione di un lontano cielo curvo e lattiginoso.
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