Marte visto dall'Europa...
Dell'autore inglese Clive Staple Lewis ho già detto. Inglese è anche John Wyndham (pseudonimo di John Parkes Lucas Benyon Harris), autore a sua volta di numerose opere ambientate su Marte, scritte soprattutto negli anni '30-40. Di Wyndham, un'incantevole racconto breve è Storia di Bert (Time to Rest, 1951) nella preziosa antologia Su e giù per il tempospazio dedicatagli da Urania nel 1981. L'autore immaginava un Marte anche qui crepuscolare, semidesertico, abitato da creature simili (ma non identiche) ai terrestri, eredi di un glorioso passato, ormai sulla via di un sereno tramonto ma dediti a una tranquilla attività agricola. Su Marte si è attestata una comunità terrestre dopo che il nostro pianeta si è autodistrutto.
Bert capiva Annika, e sapeva che coi suoi modi pacati anche lei capiva lui. I marziani erano un popolo mite, sensibile e sincero. Era una tragedia, una della lunga serie di tragedie dello stesso tipo, che il primo terrestre giunto su Marte avesse visto i marziani come una razza debole e senza spina dorsale: che li avesse visti come indigeni, come esseri inferiori da vessare e sfruttare. Ora i terrestri avevano smesso: o erano riusciti a conoscere meglio i marziani, come ad esempio lui, o vivevano nelle colonie e li vedevano raramente; ma Bert continuava a vergognarsi del suo popolo, ogni volta che ci pensava.
Alla fine Bert (che si guadagna da vivere girovagando in barca su un fiumiciattolo, aiutando i marziani con le sue rudimentali conoscenze di tecnologia terrestre) dovrà fare una scelta: continuare a crogiolarsi nel bruciante ricordo di una Terra perduta, o accettare di amalgamarsi con un popolo alieno che, volente o nolente, è diventato anche il suo, e del quale apprezza le doti.
Nello stesso volume appare il racconto Marziana idiota (Dumb Martian, 1952), noto anche come Marzianella silenziosa, in cui viene descritta una relazione di sudditanza, quasi di schiavitù, fra una creatura di Marte e il suo "padrone" terrestre; alla fine si scoprirà che la "marzianella" è molto, molto più in gamba di quanto si potesse pensare. Di John Wyndham non si possono sottacere le opere migliori, ovvero i romanzi della maturità quali L'orrenda invasione (o Il giorno dei Trifidi, 1951), I figli dell'invasione (1957), e soprattutto I Trasfigurati (1956); eppure anche i suoi primi lavori mostrano la stoffa del vero scrittore, una piacevolezza, leggibilità e capacità di coinvolgimento del lettore non comuni. Lo dimostrano i titoli già richiamati, come pure opere sostanzialmente d'evasione quali i romanzi Avventura su Marte (Stowaway to Mars, 1936) e il suo seguito I sopravvissuti di Marte (The Sleepers of Mars, 1938); o il romanzo La saga dei Troon, composta da cinque episodi (uno d'essi riguarda Marte); i primi quattro furono raccolti nel volume Sbarco su Marte, pubblicato nel 1960 nei Romanzi del Corriere, sotto il nome "J. Wyndham e L. Parkes".
Autore inglese ritenuto di secondo piano, ma degno di menzione, è anche Edwin Charles Tubb. Il suo romanzo I pionieri di Marte (Alien Dust, 1953; Urania 1957) si svolge nell'arco di più generazioni e narra in modo crudo, "realistico", la durissima colonizzazione del Pianeta Rosso: opera di intrattenimento ma di notevole mestiere, e che meriterebbe di essere riproposta. Ancora un Marte scelto come luogo di salvezza per i terrestri (occorre fuggire da una mortale anomalia dell'irradiazione solare) è quello raggiunto faticosamente da un gruppo terrestre nel romanzo Il mondo finirà venerdì (1954; One in Three Hundred, 1953) dello scozzese J.T. McIntosh, pseudonimo di James Murdoch McGregor. Marte, colore di sangue (1966/1971) è un romanzo firmato da un altro inglese, David G. Compton, noto soprattutto perché da un suo libro, L'occhio insonne, fu tratto il film di Bertand Tavernier La morte in diretta con Romy Schneider, Harvey Keitel, Max von Sydow (1980). Marte, colore di sangue racconta l'invio forzoso su quel mondo d'una folla di uomini e donne banditi dalla società terrestre: il Pianeta Rosso come colonia penale di irrecuperabili. Il lettore parteciperà agli sforzi per sopravvivere e organizzarsi da parte di un'umanità mossa da pulsioni elementari, ma l'autore, uno dei migliori degli anni Settanta, riesce a rendere le vicende narrate un'allegoria quasi kafkiana della condizione umana globale.
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