Il futuro di Marte
Le ambientazioni realistiche del cyberpunk, in gran parte, ignorano luoghi diversi dalla Terra, con l'unica eccezione di Frontera di Lewis Shiner (1984). Con gli anni Novanta, il Marte della hard science fiction ritorna centrale, a partire dalla presa d'atto dei rilevamenti delle sonde che, a partire dal Mariner 4 nel 1964 fino alle spedizioni Viking degli anni Settanta, mostrano qualcosa di totalmente lontano dalle ingenue speranze della SF classica.
Allora il Marte degli ultimi anni offre delle saghe corali, delle epopee collettive ancora più che romanzi classici con un protagonista individuale. Su tutti, va menzionato Moving Mars (Marte in fuga, 1993) di Greg Bear che rende, letteralmente, il pianeta stesso eroe di un viaggio spaziale che manterrà aperta la porta all'esplorazione spaziale. In questo repertorio si inseriscono anche autori di generazioni precedenti, con romanzi come il poco riuscito Mars di Ben Bova (1992), e il piacevolissimo Beachhead (Sabbie rosse, 1992) del veterano Jack Williamson, fino ad autori come Robert Forward, Larry Niven e Allen Steele (e fra gli inglesi menzioniamo almeno Baxter, Paul J. McAuley e Ian McDonald). Fra i tanti, ricordo un'opera ironica, omaggio ai vecchi sogni su Marte, quale il Voyage to the Red Planet (Viaggio sul pianeta rosso, 1990) di Terry Bisson, in cui il realismo della descrizione del viaggio si unisce all'elemento parodistico.
Ma nell'accoglienza di lettori e critica, il Marte degli ultimi anni è per eccellenza quello di Kim Stanley Robinson, con la trilogia Red Mars (Il rosso di Marte, 1992), Green Mars (1993), Blue Mars (1996) e i racconti parzialmente riuniti in The Martians (1999). Saga della colonizzazione e terraforming (o meglio "areoforming") di Marte, in cui si riparte da un'astronave di pionieri chiamata Ares (come in Weinbaum) e si passa per una Dichiarazione di indipendenza simile a quella della Rivoluzione americana. Epica collettiva, la trilogia traccia una storia futura attraverso i dibattiti, le riflessioni, le vicende di gruppi di coloni, di scienziati e politici (i "rossi" e i "verdi" dei titoli), seguendo i mutamenti della società e i mutamenti del pianeta. Come per l'America e come per la fantascienza, anche il Marte di Robinson è mosso da un sogno ("aerofania") di salvezza in un luogo da costruire dal nulla o almeno dall'immaginazione. Massiccia, densissima nelle informazioni e bellissima nei dialoghi, la trilogia ha reso nuovamente centrale la tradizione della SF "politica" di Wells, Olaf Stapledon e Ursula K. Le Guin, senza marginalizzare (tutt'altro) la componente "scientifica" (come nella anti-science fiction di Bradbury e Lewis). In Robinson, natura e cultura sono categorie in continuo cambiamento, e l'evoluzione della comunità va insieme alle descrizioni del paesaggio trovato, e di quello in corso di perpetua ricostruzione da parte dei coloni. Nell'ultimo romanzo, si intravedono nella nuova, eroica società marziana i primi problemi di sovrappopolazione, con la nascita di gated communities galleggianti sui nuovi mari di Marte che (come nell'America moderna), cercano di difendere attraverso l'isolamento la nicchia di comfort conquistata nel nuovo mondo, mentre qualcuno sta iniziando a preparare navi stellari per un'ulteriore emigrazione. Ma quello che conta, sempre, è la spinta al miglioramento che muove la comunità: nella Frontiera sempre in movimento, mai soddisfatta di sé stessa, sempre pronta a criticarsi anche radicalmente, senza illusioni di innocenza o perfezione, Robinson scorge l'utopia.
Ancora una volta Marte, per gli autori americani, è l'America. L'America è marziana.
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