Com'è avvenuto il tuo "allargamento" anche alla scrittura di narrativa, quando, perché?
Scrissi un racconto anarcoide per Lucifero. Bruno Baccelli, da persona di gusto quale era, lo rifiutò. Gliene sono ancora grato, e mi duole che questo amico sia scomparso qualche anno fa. Poi vennero un paio di racconti dopo una delusione amorosa, perché la storia breve era la forma migliore per esprimere i miei sentimenti, così entrai anche io nel novero degli scrittori di fantascienza, anche se ho prodotto molto poco. Di positivo posso dire che, a parte quel primo vecchio racconto anarchico, ho sempre pubblicato tutto.
Quando scrivo mi trovo in una strana sensazione di trance, non penso a trame o altro, semplicemente è come se stessi vedendo quella storia svolgersi davanti a me, e la vedo terminare esattamente come il lettore, con una qualche sorpresa. Franco Ricciardello non credeva che io scrivessi un'unica versione dei racconti (qualcuno potrà commentare "e si nota"). Invece è così, non cambio niente, correggo solo gli errori di lingua.
Che peso ha avuto l'amicizia con Claudio Asciuti nella tua frequentazione della sf e del suo ambiente, e nella tua attività fantascientifica?
Claudio Asciuti ha per me un'importanza fondamentale. Non si tratta solo dell'affetto, visto che per me è un fratello, anzi il compagno di ogni avventura. Lo conobbi a Stresa, all'Eurocon, mentre era attorniato dai carabinieri che l'avevano fermato. Con Caronia, Cammarota e altri ne ottenemmo la restituzione. Era stato fermato perché aveva cercato di entrare al centro congressi sventolando la bandiera rossa. Claudio, che è anche lui genovese, aveva fondato il Collettivo delle Ombre e costituito la cellula genovese de L'Ambigua Utopia. Noi di Crash lo conoscevamo di vista, ma avevamo deciso di non contattarlo perché ci sembrava un po' strano. Era stato capellone, hippy, uno dei primi punk ed era un poeta, faceva performance, dipingeva, insomma, per noi truci da servizio d'ordine era troppo solare, troppo vulcanico! Faceva troppo casino perfino per noi. Da quel giorno abbiamo fatto assieme di tutto (tranne scrivere un romanzo). Con lui, che era studente di lettere, iniziai a seguire i corsi pomeridiani delle facoltà umanistiche, appena finite le lezioni di fisica, poi sempre cinema e taverne. Fui letteralmente trasformato da una nuova cultura che proveniva da lui e dal suo gruppo. Ovviamente unimmo subito le iniziative editoriali. Fu grazie a Claudio che iniziai a uscire dalla cultura della fantascienza, a cercare di scrivere per riviste più impegnative, e a praticare un'impostazione interdisciplinare della cultura. Quelli furono per noi gli anni Alfabeta (la rivista di Eco, Balestrini, Formenti, Leonetti e altri) anche se, almeno per me, rimanevano i riferimenti del Movimento con Metropoli. Comunque, esaurita l'esperienza del collettivo genovese, confluimmo ne L'Ambigua Utopia e restammo con Caronia fino alla fine di quella fase.
Claudio Asciuti è, secondo me, un grande scrittore proprio perché è riuscito a mettere nei suoi molti romanzi, ingiustamente inediti, il tipo di vita non infame che ha sempre coerentemente praticato. Da lui ho imparato a cambiare senza rinnegare, e a non servire. Anche per questo Claudio è stato, e in parte è ancora, emarginato dal mondo della fantascienza. Nel modo di scrivere non ci assomigliamo assolutamente. Io sono attratto da una sorta di dialetto tecnologico ed etnico, lui si rifà all'italiano complesso del primo novecento, alla precisione degli aggettivi, all'idea postmoderna di una narrazione che narra le altre narrazioni.
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