Lo ha capito troppo tardi, era già all'aperto quando ha visto scintillare la piccola sfera. Un'olocamera. E' più facile vederle quando l'ambiente è vasto e imprevedibile, e devono avvicinarsi per tenerti d'occhio. Inutile correre ancora, la sferula lo teneva al guinzaglio; presto sarebbero arrivati i sorveglianti. Una bella scena, niente da dire. Il tempo di guardarsi intorno, probabilmente non rivedrà mai più la superficie. Un grande viale, muri uniformi, asfalto liscio a perdita d'occhio. I secondi si ammucchiano disordinati e precipitosi, già si vedono fari in lontananza, si sente l'eco di passi rapidi e cadenzati. Stanno arrivando, seguono il suo segnale a colpo sicuro; l'olocamera gli guizza intorno, implacabile. Non corre, a che servirebbe? Ma nemmeno si mette a sedere, non si arrende, non ancora, anche se il rumore dei passi si avvicina, e i coni dei fari si allungano minacciosi verso di lui. Perché non si rassegna? C'è una nicchia, proprio davanti a lui. Nella nicchia una fontanella mezzo arrugginita. Come sia scampata alle revisioni urbanistiche, che a cadenza triennale investono la metropoli, mistero. Scende un filo d'acqua trasparente, non è un sogno, non senti il rumore? La bava biancastra dei fari è a pochi metri, i passi martellano, ma come ovattati. Perché non ti rassegni? Si avvicina alla sorgente, ma è più lontana di quanto sembri a prima vista. Le pareti della nicchia lo avvolgono, i fari scompaiono, il frastuono dei passi svanisce. Si accosta e beve un sorso, le mani a coppa. Bambini che giocano a biglie. Uno di loro alza gli occhi, ride e gli fa ciao con la mano.

Sirene nella notte, pattuglie in partenza, la presenza olovisiva del Magnifico Direttore, sorridente e severo, che percorre le grandi aule, i corridoi, i sotterranei. La Quinta Sorveglianza Periferica, una delle trentadue che controllano l'anello esterno della metropoli, era il gioiello del sistema. Mai una missione fallita, mai un morto. Poi quella trasmissione, quel detenuto svanito nel nulla davanti agli olospettatori allibiti. Cani, fari, antenne, sensori: tutto vano. Ora la questione, oltre a costare una formidabile lavata di capo a tutti i membri della pattuglia, era finita sul tavolo del Pregiato Sovrintendente, il quale, dopo aver a lungo rimuginato, l'aveva dirottata all'indirizzo di un nuovo acquisto, un ispettore promosso per l'occasione dal reparto Numeri Smarriti.

Le rimostranze dei graduati non erano servite a niente: il Sovrintendente conosceva quell'uomo personalmente, non c'era di meglio, così disse, per una faccenda del genere. Ma non convinse nessuno.

Li chiamavano tavner, i Cercaniente, o anche dost, gli Zero. Perché ai Numeri Smarriti, l'angolo più inutile e polveroso della Quinta Sorveglianza, finivano i falliti, gli avvocati delle cause perse, i fuori carriera, indegni anche di un decoroso licenziamento. Ammuffivano là dentro, occupandosi di errori procedurali, di imperfezioni protocollari, di reclami. Passavano in rassegna le immense banche dati alla ricerca di registrazioni incomplete, una data di nascita non verificata, discordanze nelle copie degli atti processuali.

E quando la faccenda del detenuto scomparso fu destinata a uno di costoro i soliti bene informati rassicurarono le pattuglie, i colleghi, i collaboratori: è una decisione di comodo, se qualcuno deve bruciarsi che non sia uno di noi. Vogliono che si sprechi tempo e fatica per acchiappare un fantasma? Ai Numeri Smarriti sprecano tempo dalla nascita, è la loro vocazione. Che si divertano, qui abbiamo da fare. Ve lo dico io dov'è finito quello... si abbronza su qualche spiaggia remota della fascia esterna, quelli dell'olovideo l'hanno fatto sparire corrompendo un pezzo grosso alla Sorveglianza Centrale, e ora se la ridono tutti quanti alle nostre spalle. I ragazzi erano contenti di credere a queste chiacchiere, così contenti che ormai non erano più chiacchiere, erano verità certa e comprovata.