Eppure, doveva esserci un accordo segreto tra quei nemici coatti, perché sembravano muoversi seguendo un unico preciso disegno: la fila dove mi trovavo io era invariabilmente ferma mentre le altre si muovevano; ogni qualvolta cambiavo corsia, quella precedente scattava in avanti mentre la nuova si bloccava.
Nella fornace d'asfalto, forme umane scivolavano tra le lamiere. Un indigeno sudato come un capitone bussò al mio finestrino offrendomi dosi di CD di Gianni Drudi tagliati con compilation anni '70 dei Cugini di Campagna.
- Solo per uso personale - sussurrò strizzandomi un occhio bieco, acquoso, falso e ammiccante.
Altri offrivano pupazzi di peluche con la faccia di Gianni Minà, santini di Maradona prima e dopo la coca, cellulari Nokia con dentro mattoni e mattoni autentici con dentro cellulari taroccati. Li guardavo boccheggiare nelle zaffate calde dei condizionatori e ne coglievo l'anelito selvaggio dirazza ancestrale, come un appello proditorio alla morte in agguato, al male nascosto, alle tenebre profonde del loro essere.
- Conoscete il signor Kurtz? - domandavo loro.
- 'o curt'? - rispondevano con una mescola di complicità e timore superstizioso. - Più a sud. Più a sud.
Capii che la mia ricerca era appena all'inizio. Quando varcai il casello, mi sentii come se fossi stato inghiottito da una fiera mitologica e fossi ormai prigioniero del suo lungo esofago di tenebra.
Isoradio emise un ultimo beffardo comunicato. - Traffico scorrevole su tutta la rete viaria italiana... E sottolineo italiana.
Poi scomparve dall'etere confermandomi la rivelazione d'aver varcato i confini della civiltà e dell'umano consesso. A sud, a sud, ripetei per farmi coraggio.
La Duna arrancava a passo di medusa nel flaccido fiume di lamiera. L'aria era calda, densa, opprimente, fetida, stagnante, asfissiante, viscosa, penosa, vibrante e dolciastra (e non aggiungo altri aggettivi tanto è già scattato il bonus). Gran parte della carreggiata era chiusa per lavori, e il traffico era imbottigliato in una corsia superstite così asfittica che a confronto il sentiero di Ho Chi Min era un boulevard.
Cabotavamo lentamente cantieri assolati e immoti che sembravano abbandonati dall'alba dei tempi. Sotto strati di polvere languivano gru rugginose targate Cartagine, escavatrici neolitiche e betoniere fossili.
D'un tratto la fila si fermò del tutto. In quel momento costeggiavo un cartello che recitava Scusate il disagio: stiamo realizzando le grandi opere varate dal governo Berlusconi. Il nome del sommopresidente operaio sembrava essere stato corretto in modo sommario. Grattai la scritta. Sotto si leggeva: "stiamo realizzando le grandi opere varate dal governo Prodi". Strofinai più forte finché lessi: "stiamo realizzando le opere varate dal governo Cavour".
La sensazione era sempre più forte: discendere quell'esofago d'asfalto era come viaggiare indietro nel tempo sino ai più lontani albori del mondo, quando la vegetazione cresceva sfrenata sulla terra e i grandi alberi erano re. Nell'aria tremolante dal caldo scorgevo miraggi di mondi ancestrali. Da lontano giungevano monotoni echi di tamburi e cori tribali.
Molte ore dopo, due chilometri più avanti, riuscii a svischiarmi dal budino di lamiera e a fermarmi in un autogrill.
- Mi mette trenta euro di benzina verde? - chiesi al benzinaio.
- Eh? - fece lui.
- Ho detto che vorrei trenta euro di verde, per favore - ripetei.
L'altro aggrottò due villose sopracciglia da neardenthaliano. Sembrava uscito direttamente da qualche film di Boldi e De Sica. - Eh?
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