"Scrissi il mio primo racconto intorno ai diciotto anni; l'occasione fu il concorso letterario indetto da Robot (prima edizione) del nostro caro Vic Curtoni. Tirai fuori una storia di una trentina di cartelle, francamente brutto; giustamente non venne segnalato né premiato. Ricordo anche che nella scrittura mi sentivo fuori posto. Avevo la sensazione di non riuscire a calarmi veramente in quello che esprimevo, come se realizzassi una stanca cronaca di qualcosa in cui non riuscivo a venire coinvolto. Il primo raccontino pubblicato, Vecchie Strade, apparve su un numero speciale del Cosmo Informatore. L'idea mi venne tornando a casa in autostrada dopo una partita dell'Atalanta a Bologna (sono sempre stato tifoso dell'Atalanta, e mi sono spesso vergognato delle malefatte di una parte della mia tifoseria). L'immagine dell'autostrada con il sole che tramontava e l'asfalto che si accendeva di rosso, le colline lontane... E se le automobili fossero sparite, se fosse rimasto soltanto quel lungo nastro d'asfalto? Da questa visione, che era più una sensazione, nacque il raccontino. Ma soprattutto, cominciai a provare del coinvolgimento nella mia narrativa. Seguì una pausa di un paio di anni.
Nel 1982 provai a scrivere numerosi racconti uniti da un filo conduttore: uno di questi è appunto Il dio di Marte, che potete leggere qui. L'insieme della storie formò un romanzo, Cronache della Rinascita, che è rimasto inedito. Ma fu un'esperienza importante, perché per la prima volta avvertii una partecipazione profonda alle mie storie. Avevo trovato la chiave, potevo - al limite - perfino piangere o ridere mentre scrivevo: la pagina mi sembrava vivere per suo conto."
Da quanto sopra si può intuire che Paolo Aresi sia uno di quegli autori, sempre più rari, che sperimentano l'emozione della scrittura; atteggiamento che - unito alla solida conoscenza dei canoni e delle strutture narrative - è, a mio avviso, sempre sinonimo leggibilità (come minimo). Dunque, Il dio di Marte risale al 1982. Mi ha spinto a sceglierlo, oltre al voler mostrare un esempio di fanta-scrittura dei trascorsi decenni (che poi è lo scopo essenziale di questa rubrica), anche l'attinenza del tema con un recentissimo "speciale" apparso sullo scorso numero di Delos: in particolare, l'argomento (un po' "scottante", pare) alieni/religione. Da questo punto di vista la storia di Aresi, nonostante la sua aria di semplicità, di ordinarietà, quasi di banalità, alla fine risulta fortemente provocatoria (come si diceva un tempo). Quanto al tema di fondo del racconto, a me sembra un po' il capovolgimento di quello utilizzato dallo scrittore statunitense Lester Del Rey in un suo celeberrimo racconto, Perché sono un popolo geloso (For I am a Jealous People, 1954).Qui c'era una guerra contro alieni mostruosi, che tuttavia adoravano anch'essi la Croce; alla fine Iddio, irato per il comportamento dei Terrestri, ritirava la sua protezione al genere umano - frutto dell'antico Patto - e la trasferiva agli alieni: a quel punto l'eroe della vicenda, un religioso, decideva che la guerra doveva continuare egualmente, e che stavolta Dio si era scelto un avversario della sua stessa misura ("una versione notevolmente spinta dell'orgoglio umano", commentava Kingsley Amis nel suo famoso saggio Nuove mappe dell'Inferno, 1960, Bompiani 1962).
Nella storia di Aresi non vi sono guerre (tranne forse una, sulla lontana Terra); e il nucleo della narrazione ruota intorno al patetico e striminzito gruppo di coloni terrestri rimasti soli su Marte, in pratica abbandonati a se stessi e decimati da una misteriosa malattia. Non vado oltre, il lettore scoprirà il resto da sé.
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