Quella sera, sul terrazzo, guardavo il golfo illuminato dai fuochi d'artificio e pensavo a me, ai mie amici, alla nostra invenzione, e a mezzanotte, tutti abbracciati, avrei giurato che mai in passato quello spettacolo era stato altrettanto meraviglioso.
Sei mesi dopo le cose erano messe in modo completamente diverso.
In principio, a gennaio, tutto era partito bene. Avevamo messo sul mercato dei portachiavi dimostrativi per pochi euro. C'erano dei pulsanti, e a ognuno di quelli corrispondeva una breve composizione di sensazioni, come per esempio quella del tramonto sul mio terrazzo. Lo chiamammo Breccia e in tre mesi sembrò che il mondo intero lo volesse. Studiammo ipotesi d'accordo con varie multinazionali e ovunque, sui media, non si fece altro che parlare di noi e di Breccia.
In primavera iniziarono i problemi. La nostra tecnologia fu criticata. Si disse che era l'antesignano di un nuovo tipo di droga: la cyberdrug. Breccia venne sempre più spesso messo in relazione a brutti fatti di cronaca: omicidi, suicidi e quant'altro. Sembrava che chiunque commettesse un atto efferato lo facesse sotto l'influsso di Breccia. Si tralasciava di segnalare che ormai erano milioni i nostri portachiavi nel mondo mentre quelle coincidenze poche decine.
L'enorme entusiasmo per Breccia, soprattutto da parte dei giovani, venne presentato dai media come la dimostrazione della natura di sostanza psicotropica del prodotto. E anche se nessuno dimostrò mai che Breccia provocasse dipendenza o danni alla salute, furono molti gli eminenti sociologi e psicologi che descrissero la nostra tecnologia come un disastro sociale, un grande passo verso l'annientamento della coscienza, uno strumento per soggiogare e violare le difese della mente.
Al termine di un apposito Concistoro straordinario, il Papa definì la nostra tecnologia un frutto tipico della cultura New Age, basata sul pensiero debole e sul consumismo, reo di soffocare il libero arbitrio, dono tra i più grandi del Signore, per imporre emozioni preconfezionate a chi preferisce l'illusione di una scorciatoia alle faticose strade della salvezza.
Fu così che, tre giorni prima di riuscire a firmare un contratto con una grande multinazionale, Breccia fu dichiarato illegale; prima in Italia, poi ovunque. I nostri portachiavi furono ritirati dal commercio in tutto il mondo e noi fummo diffidati dal continuarne la produzione e la distribuzione. L'occasione con la multinazionale sfumò.
Un giornalista a caccia dello scoop facile si prese la briga di andare a scavare nel nostro passato. Mirate interviste al preside del nostro vecchio liceo produssero un quadro che solo noi potevamo riconoscere come il frutto di una soddisfatta rivalsa personale. Spuntarono fuori la storia dell'aborto nel cesso e altre sordide dicerie furono rigirate, riadattate e prontamente assurte dai media a fatti provati e certi. Fu ripescata dagli archivi della stradale la mia sospensione di patente per guida in stato di ebbrezza. Il colmo fu raggiunto la sera in cui, al più importante talk show televisivo, fu intervistata la nostra ex cameriera che descrisse disgustata la scandalosa promiscuità, l'evidente alterazione mentale e l'estremo degrado morale in cui ci trovava ogni mattina quando veniva a ripulire.
Di ognuno di noi furono trasmessi degli speciali con tanto di foto, biografie e informazioni la cui accuratezza è testimoniata da quanto si disse di Elena: la più piccola e perversa del gruppo, rimasta cieca durante la sperimentazione di una delle droghe precedenti l'invenzione della cyberdrug.
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