Nuovi territori

Le sonde Voyager lanciate nel 1977, e tuttora attive, corrispondono per molti versi alla descrizione fatta da Freitas nell'ambito del SETA: sonde attive in grado di ripararsi, soprattutto grazie alla ridondanza di alcuni sistemi chiave.
Le sonde Voyager lanciate nel 1977, e tuttora attive, corrispondono per molti versi alla descrizione fatta da Freitas nell'ambito del SETA: sonde attive in grado di ripararsi, soprattutto grazie alla ridondanza di alcuni sistemi chiave.
La prima vera evoluzione del SETI, fu il cosiddetto programma SETA (Search for ExtraTerrestrial Artifacts) che si propose la ricerca all'interno del nostro Sistema Solare di manufatti tecnologici provenienti da altri mondi. Ma quali basi scientifiche erano alla base di una strategia che sulle prime avrebbe potuto suscitare grande scetticismo negli ambienti accademici? A formulare scientificamente la cosiddetta Artifact Hypothesis, ovvero a prendere in considerazione come ben più di una semplice remota possibilità il fatto che civiltà extraterrestri tecnologicamente avanzate avessero intrapreso un lungo programma di esplorazione interstellare per mezzo dell'invio di manufatti tecnologici, fu soprattutto Robert A. Freitas Jr a cavallo tra anni '70 e '80. Ma l'ipotesi di Freitas, benché sulle prime possa apparire ardita, è soltanto conseguenza logica dei due assunti fondamentali che già animavano i programmi del SETI, ovvero 1) che le intelligenze extraterrestri tecnologicamente avanzate effettivamente esistano; 2) che queste intelligenze stiano cercando di comunicare con noi. Dati questi assunti, Freitas è dell'opinione che veicoli interstellari siano preferibili alle onde elettromagnetiche per mettersi in contatto con altre intelligenze cosmiche. In secondo luogo, è inutile porsi il problema che gli alieni abbiano potuto mandare nel nostro spazio delle sonde con il proposito di non essere scoperte perché, molto probabilmente, se così fosse, sarebbe davvero impossibile individuarle. Se ad esempio gli extraterrestri fossero in grado di costruire "nanosonde", potremmo anche scordarci di poterle scoprire. Dunque, ciò che possiamo considerare è che i nostri alieni abbiano intrapreso una sorta di analisi e di sorveglianza del nostro spazio vicino e, forse, della Terra, senza porre alcuno sforzo particolare per celare la loro presenza. In terzo luogo, per determinare le condizioni più probabili di osservabilità, è necessario considerare le situazioni maggiormente conservative ovvero che, nella programmazione delle loro osservazioni, le intelligenze extraterrestri abbiano applicato contemporaneamente i concetti di massima efficienza e minimo rischio ambientale per i loro manufatti. Ciò significa che la nostra ricerca dovrebbe rivolgersi verso sonde attive, ovvero veicoli automatici che siano in grado di osservare e di ritrasmettere i dati delle osservazioni ai loro costruttori, e che siano in grado di poter far fronte almeno a un certo numero di avarie. Queste considerazioni rispondono alla condizione di massima efficienza e ci dicono "che cosa" cercare. La condizione di minimo rischio ambientale ci viene invece in soccorso per dirci "dove" andare a cercare. Se infatti non si formulasse alcuna preferenza su dove potrebbero essere parcheggiate le sonde aliene, lo spazio possibile sarebbe una sfera del volume di 260.000 UA3, mentre la superficie totale, considerati tutti i corpi del Sistema Solare, si aggirerebbe intorno ai 1011 km2. Decisamente sono numeri troppo alti per tentare di intraprendervi una ricerca sistematica. Freitas ha dunque fatto delle ipotesi, perché ci sono molti posti del Sistema Solare dove sarebbe a) del tutto inutile mandare delle sonde e b) sconveniente dal punto di vista del rischio associato alla vita delle sonde stesse. Inoltre, a ben vedere non ci sono molti posti dove c) è molto interessante andare a dare un'occhiata e d) le sonde massimizzano la loro durata di vita con la minima complessità tecnologica. Insomma, è inutile dire che una civiltà intelligente concentrerebbe le sue osservazioni intorno alla Terra, che è decisamente il pianeta più interessante del Sistema Solare, non fosse altro perché è l'unico su cui è evoluta la vita intelligente. Di conseguenza, cercherebbe un luogo "tranquillo" vicino al nostro pianeta, ad esempio con il minimo impatto di particelle ad alta energia, con basse intensità di campi elettrici e magnetici, con il minimo pericolo di impatto causato da micrometeoriti o rottami, e con il minimo bisogno di energia per mantenere le orbite stabili.