La caccia è aperta
Per questo motivo, se è mai esistito un vero e proprio "manifesto" del Progetto SETI, questo non può che essere l'articolo di Cocconi e Morrison, in base al quale, a partire dalla campagna di ascolto pionieristica del 1960, il SETI ha svolto numerosi altri progetti di ricerca, utilizzando gli strumenti sempre più sofisticati che a mano a mano sono venuti alla ribalta della tecnologia negli ultimi quarant'anni. Purtroppo, però, nonostante gli sforzi, finora il protocollo SETI non ha prodotto alcun risultato davvero significativo. Ci sono stati eventi che sono stati giudicati non naturali, ma sono stati spiegati con interferenze di varia natura. Quelli che non sono stati spiegati sono comunque stati scartati perché rimasti isolati ed è ritenuto impensabile che una civiltà stazionaria su un pianeta o un satellite artificiale non emetta regolarmente onde radio come facciamo noi. Ad ogni buon conto, malgrado la mancanza di evidenze, è importante sottolineare che il programma SETI ha avvicinato per la prima volta la scienza ufficiale al concetto di extraterrestre, togliendogli finalmente l'etichetta di stravaganza e rendendolo argomento degno di studio scientifico serio. Malgrado ciò, l'argomento restava da prendere con le pinze e, nei confronti dei cosiddetti "alieni", la scienza ha comunque mantenuto le "distanze" ancora per molto tempo. In effetti, confrontando il tipo di approccio del SETI e quello dell'ufologia tradizionale, si riscontra la presenza di due linee di demarcazione concettuali molto nette, che coinvolgono sia i metodi che gli oggetti di indagine, e che separano ufologi e scienziati e fanno sì che i due gruppi non interferiscano. Gli studi ufologici hanno da sempre basato le loro ipotesi e le loro tesi sulle testimonianze ed è quasi sempre dal racconto individuale di un "incontro ravvicinato" e dal confronto delle versioni di diversi testimoni, che prendono il via le indagini ufologiche. Gli ufologi hanno quindi cercato sempre molto vicino a noi, partendo da materiale "umano". Le considerazioni di Cocconi e Morrison hanno fatto invece sì che, dal punto di vista scientifico, gli scienziati che svilupparono il programma SETI ritenessero più ragionevole guardare molto lontano da noi. Ma non per alterigia o presunzione o per distinguersi dagli ufologi, bensì perché era la scelta scientificamente più rigorosa, sia rispetto alle possibilità statistiche di successo, che nei termini delle analisi strumentali necessarie per svolgere un'indagine scientifica oggettiva e sistematica in senso stretto. Eppure, a parte, come s'è visto, l'esigenza pratica di dover scegliere poche e ben determinate frequenze di analisi tra migliaia di possibilità, cosa che presuppone ipotesi per certi versi arbitrarie che potrebbero benissimo non essere condivise dalle civiltà aliene, l'ambizioso protocollo SETI ha sempre avuto e ha tuttora un altro grosso limite. Il SETI si propone la ricerca di emissioni radio non naturali provenienti da pianeti o da eventuali satelliti artificiali, in altre parole da insediamenti stabili di civiltà intelligenti. Il SETI dunque non prende in considerazione la possibilità che le civiltà cosmiche siano in grado di viaggiare. Questo non significa che gli scienziati non abbiano mai preso in considerazione la questione. Già agli inizi del programma SETI, sebbene in forma non ufficiale, giravano tra gli addetti ai lavori articoli che non escludevano affatto la possibilità che altre eventuali civiltà extraterrestri potessero viaggiare nel cosmo e giungere così a esplorare il Sistema Solare e quindi anche la Terra. Del resto il concetto di "migrazione interstellare" era stato preso in seriamente considerazione anche da scienziati del calibro e della reputazione di Carl Sagan. Tuttavia, ci volle del tempo prima che il nuovo concetto si facesse strada nelle menti degli scienziati e li facesse uscire allo scoperto, cosa che accadde negli anni '70 quando vennero presentate strategie di investigazione complementari al SETI.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID