La svolta
Fu Frank Drake, nel marzo 1959, a scardinare lo spesso muro di diffidenza della comunità scientifica nei confronti della questione della presenza di altre civiltà nell'universo. Con la sua equazione:
N = R* x fp x ne x fl x fc x L
dove:
R*=tasso di formazione delle stelle nella nostra galassia ai tempi in cui si formò il Sistema Solare;
fp = frazione di stelle che possiedono pianeti:
ne = numero di pianeti per stella capaci di ospitare la vita;
fl = frazione dei pianeti di ne dove la vita evolve;
fi = frazione di fl dove la evolve la vita intelligente;
fc = frazione di fi in grado di comunicare;
L = durata media di una civiltà in grado di comunicare;
Drake calcolò che le probabilità dell'esistenza nel cosmo di altre civiltà erano tutt'altro che irrilevanti e, data questa fondamentale premessa, se le si voleva andare a cercare, diventava prioritario capire quale avrebbe potuto essere il metodo scientifico migliore per farlo. A confermare che evidentemente i tempi erano maturi perché la scienza cominciasse ad accostarsi alla questione, solo qualche mese più tardi, sul numero di Nature del 19 settembre 1959, venne pubblicato un articolo dal titolo Searching for Interstellar Communications (lett. La ricerca di comunicazioni interstellari) dove due fisici, Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, proponevano la possibilità concreta di ricercare nel cosmo altre intelligenze extraterrestri individuando eventuali emissioni radio artificiali che una civiltà a un livello di tecnologia sufficientemente avanzato non avrebbe potuto fare a meno di emettere verso lo spazio. Era il metodo che Drake aspettava e lo stesso scienziato americano riuscì a sfruttare l'inaspettato e improvviso, entusiasmo intorno a un argomento fino ad allora considerato ai margini, per intraprendere la prima grande campagna di ricerca di intelligenze extraterrestri. Drake aveva calcolato che gli eventuali segnali radio emanati da una civiltà con apparecchi del tutto simili a quelli a disposizione all'epoca sulla Terra, che distasse al massimo 10 anni luce dalla Terra, avrebbero potuto essere captati da un radiotelescopio di 85 piedi di diametro. E l'allora nuovo radio telescopio di Great Bank era proprio quello che ci voleva per cominciare l'avventura. C'era soltanto da decidere su quale canale sintonizzarsi, giacché le frequenze d'ascolto disponibili, quelle per le quali sarebbero state meno significative le interferenze delle atmosfere planetarie, potevano variare da 1 a 10.000 MHz. Quale tra queste scegliere, dunque, visto che l'ascolto poteva essere fatto solo su una? Nel loro articolo pionieristico Cocconi e Morrison avevano risposto anche a questa cruciale domanda. La frequenza più ragionevole da ascoltare doveva essere quella dei 1420 MHz, ovvero quella corrispondente alla frequenza di emissione dell'atomo di idrogeno, l'elemento più comune dell'universo. Secondo i due scienziati, se gli alieni avessero voluto inviare dei segnali radio nello spazio, avrebbero deciso di farlo su questa lunghezza d'onda, perché sarebbe stata riconosciuta da qualsiasi osservatore dell'universo. Fu così che proprio intorno alla lunghezza d'onda dei 1420 MHz si concentrò il Progetto Ozma (dalla principessa del Mago di Oz), che iniziò l'8 aprile 1960 con l'ascolto delle emissioni radio dalle due stelle più vicine al Sole, Tau Ceti ed Epsilon Eridani. Malgrado il nulla di fatto, le 200 ore di osservazione raggiunsero l'importante risultato di stabilire un modello per tutte le future campagne di ricerca nell'ambito del progetto SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence).
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID