4. Altri incontri ravvicinati: significati, riferimenti, allegorie
Entro più nel vivo, con ulteriori esempi da romanzi e racconti.
Il protagonista del racconto Pollice verde ("Robot" n. 36, 1979; Green Thumb, 1956) di Clifford D. Simak, è un agente agricolo. Una sera viene chiamato dal proprietario di un podere accanto al suo: durante la notte si sono create enormi buche a imbuto nel terreno e le serre (curatissime) di fiori rari sono state devastate. Il mistero verrà presto risolto dall'agente agricolo: nel luogo si è intrufolata una "pianta" molto insolita, che in realtà è un essere alieno.
La tirai fuori da lì sotto: era un tipo di erbaccia alta circa un metro e mezzo e con un curioso sistema di radici: erano otto, ciascuna del diametro d'un centimetro e mezzo e che poi si assottigliava. Avevano strane diramazioni, quattro per ogni lato, e terminavano con delle punte robuste un po' smussate. Il gambo, in fondo, era grosso quanto il pugno d'un uomo. I rami principali erano fitti di foglie dure, d'apparenza quasi carnosa. Alle estremità c'erano vari fiori e sacche di semi. Mi accoccolai a guardarla...
Probabilmente la "pianta" è rimasta sulla Terra per errore, mentre i suoi simili sono ripartiti. La creatura è qualcosa a mezzo tra regno vegetale e animale, perché oltre a una conformazione peculiare possiede una motilità, insomma "cammina". Il protagonista cercherà in qualche modo di venire incontro ai bisogni dell'alieno, offrendogli terreno e acqua. In questo modo riuscirà a stabilire qualcosa di simile a un contatto:
In modo così graduale che dapprima non me ne accorsi, iniziai a percepire un senso di gratitudine, come se (ammesso che fosse possibile) la pianta mi stesse ringraziando. Non pronunciava parole, capite. Non poteva produrre che il fruscio delle sue foglie, ma io capii che era all'opera un sistema di comunicazione. Non parole, ma emozioni profonde, chiare; completamente sincere emozioni. - Oh, d'accordo - dissi - tu avresti fatto lo stesso per me. - La pianta doveva aver percepito, perché la gratitudine svanì e fu sostituita da qualcos'altro, un senso di pace e quiete.
Il protagonista del racconto si sforza di individuare un linguaggio comune che favorisca una comprensione più diretta. Dopo essersi arrovellato inutilmente su alternative "classiche" (matematica, chimica, diagramma del Sistema Solare e così via), arriva una soluzione, l'unica possibile:
Eppure, pensai, devono esservi dei concetti basilari universali... E ora credo di sapere quali sono. Questo, se non altro, me l'ha insegnato Pianta.La felicità è basilare. E la tristezza è basilare. E la gratitudine, in un senso forse meno accentuato. Anche la tenerezza. E forse l'odio, benché tre me e Pianta non fu mai comunicato.
Forse la fratellanza. Per amore dell'umanità, lo spero. Ma gentilezza e felicità e fratellanza sono strumenti poco maneggevoli da utilizzare per raggiungere una comprensione specifica: anche se nel mondo di Pianta può darsi che non sia così.
La storia durerà poco: una notte l'astronave aliena tornerà a riprendersi Pianta, e il protagonista resterà a domandarsi se per caso felicità, gentilezza, perfino certe emozioni ignote a noi umani, non possano essere usate sul mondo di Pianta "così come noi usciamo le scienze".
Una storia, come si vede, un po' diversa dalle solite. Eppure negli anni migliori di Simak ('40-60) buonismo e New Age non esistevano; come autore egli andava quindi assolutamente contro corrente, e tuttavia consolidò la sua fama divenendo una delle punte più originali della sf Usa; si vedano romanzi come City o Qui si raccolgono le stelle, e una cospicua mole di racconti. Lo resero famoso, fra l'altro, le sue ambientazioni rurali (inconsuete per la fantascienza), alcune tematiche che potremmo definire "umanistiche", e l'approccio al tema dell'alieno di alcuni suoi racconti. Approccio che ci ricorda un concetto semplice semplice, eppure sempre più trascurato: diverso non significa necessariamente mostruoso, né perfido. Magari può significare "migliore"...
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