A sua volta, ha scritto Claudio Ferrari:
In questo senso Wells appare chiaramente erede della tradizione vittoriana, segnata dall'incombere di una punizione per il male del mondo. (...) La critica ha spesso ravvisato nell'opera di Wells lo scarso rilievo psicologico e drammatico dei suoi "piccoli" uomini, ma l'assenza di "eroi" è condizione necessaria nella sua visione di un mondo dove l'ingiustizia sociale costituisce la più evidente manifestazione del male che è dentro di noi.
Ok.
A mio parere la figura dell'alieno solleva, con la sua semplice presenza, una folta serie di interrogativi. Non pretendo di affrontarli tutti, né in modo adeguato; vorrei almeno accennarne, visto che di queste cose (che a ben vedere sono uno dei nuclei della sf) si parla sempre meno; e visto che ormai la figura dell'alieno si è ridotta usualmente, soprattutto al cinema, a quella di un aproblematico mostracchione da videogame più o meno repellente e insettoide, dotato di ferocia inaudita o, per contro, in una creatura d'un carisma buonista-caramelloso di stampo mistico-new age. Eppure la varietà e ingegnosità delle forme extraterrestri escogitate dalla fantasia degli scrittori nei decenni dal 1926 agli anni Ottanta è d'una ricchezza inverosimile, e sarebbe un autentico delitto culturale dimenticarla. Un po' come la distruzione d'una ricca biblioteca di un paese conquistato...
Pertanto colgo l'occasione in questo mio capitolo - muovendo dai Marziani di Wells - per esaurire sinteticamente alcune implicazioni dell'esistenza degli ET, sperando di interessare il lettore di fantascienza raramente coinvolto in problematiche del tipo; mentre nei capitoletti successivi presenterò esempi più diretti da storie di sf, dove agiscono generi di alieni a mio avviso tra i meno noti o banali.
Gli extraterrestri pongono anzitutto una domanda-chiave: di che si tratta? E, conseguentemente: cosa significa essere "uomo"? Qual è la posizione dell'uomo nel mondo, nell'universo?
Ma procediamo con ordine. Riprendendo il discorso su Wells, direi anzitutto che egli nel suo citato romanzo "inventa", o se non altro pone in evidenza, nel lontano 1897, una scienza nuova il cui termine è stato coniato pochi decenni fa: l'ecologia. I suoi Marziani, temibili tecnologicamente e in grado di radere al suolo la Terra in pochi giorni, non vengono neanche scalfiti dalle armi umane, eppure soccombono improvvisamente tutti; ma in che modo? Vengono uccisi da un elemento cui nessuno aveva pensato, e contro il quale il loro organismo non aveva maturato alcuna difesa: il banalissimo virus del raffreddore. Forse oggi questa trovata può lasciare qualcuno perplesso: possibile che una soluzione del genere potesse destare sorpresa nei lettori? Ma attenzione, si era nel 1897 e ancora molto poco si sapeva di certi meccanismi biologici. Nel 1683 lo scienziato olandese Anton van Leewenhoek aveva scoperto al microscopio i batteri ma l'importanza della cosa non gli era stata riconosciuta; sarebbe stata necessaria la "riscoperta" di Kock nel 1876. Quanto ai virus, la prima comunicazione in cui se ne ipotizza l'esistenza è del 1892 ad opera del fisiopatologo russo Dimitri Ivanowski. Chiaro quindi che all'uscita del romanzo l'elemento narrativo "virus" aveva un sapore di palpitante novità, e magari per molti fu una scoperta vera e propria. L'idea, insomma, fantascientificamente "funzionava" (d'altronde: gli Dei Bianchi scoprendo e invadendo le paradisiache isole Hawaii non vi avevano involontariamente esportato raffreddore, morbillo, vaiolo, mali sconosciuti a quelle popolazioni, provocando una ecatombe di centinaia di migliaia di morti?)
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